Non è un caso che l’apertura, sull’immagine di una Times Square, notturna, minacciosa, addobbata di una gigantesca svastica su campo bianco/rosso, ricordi la Los Angeles di Blade Runner: siamo davanti a una nuova intersezione degli immaginari di Ridley Scott e Philip K. Dick.

Il regista di The Martian è tra i produttori ( e designer) di questo ambizioso adattamento di La svastica sul sole (The Man from the High Castle) uno dei più noti romanzi dello scrittore di Il cacciatore di androidi, che Frank Spotnitz (co-autore The X Files) ha trasformato in una patinata serie per la piattaforma streaming Amazon. Il pilota di un’ora era stato messo online la primavera scorsa, con grandissimo successo, forse il maggiore, insieme a Transparent, riscontrato tra le serie realizzate dal colosso dell’ e-commerce. Il secondo episodio (presentato, insieme al primo, al Roma Fictionfest che gli riserva addirittura una doppia proiezione, domani alle 20.30 e domenica alle 14.30 nella Sala 3 dell’Adriano) è apparso in rete qualche settimana fa mentre i restanti otto saranno disponibili agli abbonati di Amazon Prime a partire da venerdì venti novembre.

Se, rispetto a serie di Netflix come House of Cards e Orange is the New Black, le produzioni originali di Amazon sono finora sembrate più sottotono, il respiro di The Man From a High Castle è epico fin dall’apertura, sul panorama americano del secondo dopoguerra. Dalla croce uncinata che sovrasta l’incrocio tra Broadway e la Settima Avenue, al posto della mitica insegna luminosa della Coca-Cola, e dalla Market Street di San Francisco che sembra una strada di Tokio più dell’ariosa città del Golden Gate, è chiaro che sono state le potenze dell’asse, non gli alleati, a vincere.

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Come avrebbe fatto parecchi anni Philip Roth, dopo nel bellissimo Il complotto contro l’America (in cui il filohilteriano Charles Lindbergh conquistava la casa bianca), nel 1962, Dick aveva infatti immaginato una versione «deviante» della Storia, in cui gli Usa, sconfitti, venivano divisi tra uno stato ariano, sotto il diretto controllo della Germania, in corrispondenza della costa est, e un distaccamento dell’impero del sole insediato negli stati lungo il Pacifico. Tra i due, nel cuore del paese, una zona morta, decrepita e senza legge, dove forse si annida una resistenza, ispirata da un testo sacro.

La cavalletta non si alzerà più, che è firmato dal misterioso «uomo nel castello» (del titolo inglese del libro) e che descrive, come una realtà parallela, la vittoria alleata. In quello che, almeno dalle prime due puntate, è il maggior cambiamento della versione tv rispetto al romanzo, il testo dell’uomo nel castello qui non è un libro ma la pizza di un newsreel, in cui scorrono le immagini di un mondo democratico e migliore di quello in cui esistono i protagonisti: Juliana (Alexa Davalos), entrata per caso in possesso del film, Joe (Luke Kleintak) che la salva ma forse è d’accordo con i nazisti e Frank, ebreo, a cui hanno sterminato la famiglia. I due poli dell’oppressione sono incarnati da un funzionario del governo giapponese (Cary-Huroyuki Tagawa) e da un ufficiale nazista (Rufus Sewell), che tortura i prigionieri ma è un buon padre di famiglia.

La cura del dettaglio e il gusto della ricostruzione d’epoca di The Man from the High Castle ricordano quelli di Mad Men, Masters of Sex o di altre serie televisive di fiction storica come la purtroppo poco conosciuta Manhattan (sul making of della bomba atomica), con in più un’aura apocalittica che evoca la Washington contemporanea e infernale di House of Cards.

Due umori cui il filtro della sci fi distopica di Dick aggiunge un peso e un fascino che rendono il tutto ancora più imperdibile.