Mentre lo scorso 8 marzo il movimento NonUnaDiMeno si riprendeva le piazze con manifestazioni e presidi in moltissime città italiane e del mondo, associando l’idea di patriarcato al capitalismo e invitando a una riflessione più ampia sul senso del discorso femminile e femminista, appariva nelle nostre librerie il primo esperimento antologico della giovane Feltrinelli Comics. Post Pink, antologia di fumetto femminista è una raccolta di nove racconti curata, con grazia e determinazione, da Elisabetta Sedda che ha invitato autrici italiane under 40 a creare una narrazione partendo dal corpo delle donne, sul quale si posa lo sguardo di chi ci giudica, di chi ci ama, di chi ci difende e di chi ignora le nostre rivendicazioni. Perché se il corpo della donna è uncoacervo di simboli, dogmi sociali o culturali rispondenti a un modello inesistente” allora si può raccontare nel dettaglio, smembrandolo in parti e consegnandolo alle mani e alle matite delle autrici, per rendere quello sguardo più consapevole.

Ne abbiamo parlato con Silvia Rocchi e Sara Menetti, due delle fumettiste coinvolte nella pubblicazione.

«Non abbiamo trattato solo di parti fisiche-spiega Silvia Rocchi- ma anche di “caratteristiche” femminili, che formano la nostra identità, come l’istinto femminile, la femminilità in sé, cercando di fare una panoramica sul pregiudizio o la percezione spesso distorta della femminilità. Elisabetta ci ha chiesto se per noi fosse importante parlarne in questo momento storico ed ha ovviamente colto il nostro consenso».

Sara Menetti aggiunge «Elisabetta Sedda, la curatrice, mi ha fornito materiale e spunti per approfondire il mio tema iniziale, gravidanza e maternità, ma è stata anche molto aperta a modificarlo: grazie ai suoi suggerimenti mi sono trovata a riflettere sulla mia esperienza di gravidanza e l’ho trovato un argomento troppo ampio e mutevole. Non avrei mai saputo come raccontarlo e sono arrivata a proporle di parlare del cambiamento nel corpo della donna: sono andata a ritroso e ho toccato con la mia storia i momenti in cui il corpo si modifica».

Un progetto antologico determinato rimasto quindi aperto alle modifiche che ogni autrice, in qualità di portatrice di una storia, ha suggerito: la curatrice ha poi sapientemente scelto di accompagnare ogni storia con un breve testo critico, un approfondimento introduttivo che contestualizza la narrazione grafica a livello storico e concettuale.

Nel caso di Sara Menetti per esempio, il cambiamento del corpo della donna nei momenti cruciali del suo sviluppo è affrontato attraverso la metafora dei centimetri: un dato scientificamente inappellabile contro la percezione dell’individuo, o meglio individua, stessa. La contrapposizione di un dato tecnico che si traduce in un filo giallo- l’iconico centimetro da sarta- con l’oggettiva impossibilità di misurare gli stati d’animo che accompagnano l’ingrandirsi o il restringersi dei corpi femminili. «Durante la gravidanza-racconta Sara-mi hanno misurato la pancia con il metro da sarta e mi ha sorpreso questo strumento un po’anacronistico… poi ho pensato che è lo stesso con il quale si prendono le misure del giro coscia, del girovita. Ho quindi utilizzato l’ambivalenza di questo strumento, la sua portata equivoca laddove viene utilizzato per misurare l’estetica e indirettamente il valore di una donna». Lo stesso metro nella storia misura i seni che crescono, la lunghezza-ovvero cortezza– dei primi shorts, e diventa addirittura la gabbia del fumetto stesso, fino a misurare il bebè, quando nasce.

Il lavoro della Rocchi è più astratto perché porta il pregiudizio e lo stigma relativo al femmineo, storicamente accresciuto e consolidato, dentro al paesaggio della sua storia, piazzandolo su grandi cartelli-simili a quelli pubblicitari o anche elettorali- costruendo un immaginario incombente e oppressivo in cui si muovono due personagge (così le definisce Michela Murgia nell’introduzione al volume) che ripercorrono a ritroso la storia della loro nonna.

«La parte del corpo che mi è stata assegnata per il lavoro è l’utero-racconta Silvia- e mi sono chiesta a lungo come raccontarlo. Attraverso la ricerca filmica, sono giunta alla chiave storica: ho intitolato la storia Destino anatomico e, per quanto fosse ambizioso tentare di dipanare la questione in immagini e in 10 pagine, ho proposto una scansione della condizione femminile dal ‘700 in poi, e ho narrato la frattura che si creava quando le donne manifestavano problemi psicofisici anche comuni e finivano per esempio in manicomio. Questi pregiudizi sono stati talmente tanto pesanti e influenti sulla società che andavano resi fisici, manifesti, appunto. Ho attinto a film come Tre manifesti a Ebbing Missouri, o Parla con lei di Almodovar, ma anche alla letteratura, rileggendo La noia di Moravia e ho creato un’effettiva, fisica valle dei pregiudizi».

Per quanto diverse le storie sono in costante dialogo tra loro: la storia di Alice Milani, che parla del consenso attraverso la mancata denuncia di uno stupro, o quella intimista di Fumettibrutti, sono molto distanti tra loro per tecnica e approccio, ma danno al lavoro un senso di coralità, una visione a 360 gradi della condizione e delle rivendicazioni femministe. Una coscienza che ha a che fare anche con l’educazione delle donne, come spiega in modo ludico e scanzonato il racconto di Margherita Morotti Il pensiero di donna, dove delle bambine costruiscono in casa un fortino con un tavolinetto da fumo, un mobile e una coperta, dando accesso solo a chi possiede il pensiero di donna e mostrando come sia necessario recuperare una dimensione giocosa della nostra identità, che spesso ci viene sottratta nei modi più biechi…anche solo con lo sguardo maschile, come ricorda la Murgia nell’introduzione, citando la fumettista femminista statunitense Alison Bechdel, e la decisione di una delle sue personagge di andare al cinema solo nella storia ci sono due donne di cui si conosce il nome, che parlano tra loro, ma non di uomini.

Un parametro estratto da una vignetta della Bechdel del 1985, ma che risulta ancora inquietante, se applicato alla cinematografia contemporanea.

Una narrazione che esclude, che nega alla parte di mondo femminile di essere rappresentata, purtroppo ancora molto praticata oggi. Il discorso maschile è spesso interiorizzato dalle donne, come ricorda la fumettista Sara Pavan, alla quale è stato assegnato l’occhio come parte del corpo da narrare e che con una storia più classica dal punto di vista grafico, tratta lo sguardo spesso “inquinato” delle stesse donne e il pregiudizio interno a noi stesse.

Presenti nella raccolta anche le storie di Cristina Portolano incaricata di narrare l’orgasmo femminile, che sceglie la storia di Ildegarda di Bingen, coltissima monaca benedettina tedesca che scoprì l’utilità e il piacere della masturbazione come antidoto contro le sue ricorrenti emicranie; quella di Margherita Tramutoli, che affronta il complesso rapporto madre-figlia, spesso non libero da preconcetti e quella onirica di Alice Socal che racconta il desiderio sessuale attraverso la fame notturna, sublimando simboli fallici in gustosi wurstellini.

Il discorso femminista è molteplice, articolato, stratificato attraverso la voce e lo sguardo di ognuna di noi e il merito di quest’antologia risiede probabilmente proprio nella varietà degli approcci e degli stili: Post Pink è un lavoro corale a fumetti che sottolinea l’obiettiva impossibilità di esaurire le istanze della nostra rivendicazione, la follia e la perdita alla quale andremmo incontro se non ci prendessimo uno spazio proprio, anche tra i colori e le vignette di un fumetto.