Si respira un’aria tossica in questo paesaggio dopo la battaglia che è Cous Cous Klan scritto da Gabriele Di Luca per Carrozzeria Orfeo. Lo spettacolo, dopo l’anteprima a Pontedera fino al 31 replica all’Elfo di Milano, e poi dal 10 al 28 gennaio all’Eliseo di Roma (entrambi concorrono alla produzione insieme a Marche Teatro, in collaborazione con Teatro della Toscana e Corte Ospitale).

 

 
Il nuovo lavoro del gruppo, forte dei riconoscimenti di Thanks for vaselina (è pronta la versione cinematografica) e di Animali da bar, nel suo incedere aggressivo, anfibi e tuta mimetica, sul terreno della «trasmissione» verbale, traduce una inesausta combattività drammaturgica in genere riservata alla forma monologo.

 
L’indocile Cous Cous Klan conferma l’impianto originario dell’ensemble e del suo autore. Ma stavolta sfodera anche un appeal da «grande opera»: narrazione tonica, ritmoimplacabile, contenuti che suscitano sdegno, un impeccabile dispositivo scenico, luci, musiche, costumi, tutti in congrua sintonia, e un energico e puntuale – fino allo stremo – ingranaggio recitativo, lodevolmente sorretto da Angela Ciaburri, Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi.

 
Il «Klan» narrato da Di Luca è una micro comunità di senza tetto né legge, rabbiosamente ancorata fra due roulotte in una sorta di «terrain vague», una discarica umana ai margini della sopravvivenza.
Al di là del recinto le cose però non vanno meglio. Il mondo, come oggi ci piace pensarlo, non esiste più. Per i dannati della terra, i migranti, i poveri, gli emarginati, brucia di sete e muore di fame. Il futuro, un futuro da apocalisse, fra Mad Max e Waterworld, ci dice Di Luca che ama il cinema e tifa per Tarantino, è dietro l’angolo. Basta avere pazienza. Però, croce e delizia, la pazienza un po’ scappa di fronte ai troppi finali che affollano l’esito della narrazione, e alle troppe spinte (ecologiche, esistenziali, umanitarie, sociali, sentimentali, antropologiche, metafisiche) che ne ingombrano il campo. Che da terreno di borgata per avvincenti escursioni sul domani diventa formicolio spasmodico di agguati alla ricerca della pietra filosofale.