Per una parte dei siciliani la famiglia Florio resta un mito. Oltre le traversie che all’inizio degli anni ’50 hanno segnato la fine della dinastia imprenditoriale e delle fortune della casa, il loro ricordo è leggenda. Donna Franca Florio la sua bellezza, il suo destino, tragico e fortunato insieme, raccontano un pezzo di storia italiana vista da sud. Per questo, forse, molti siciliani restano legati a questa vicenda e all’immaginario che agita: ricchezza e fasti, disgrazia e rovina, amori e tradimenti ma anche un tentativo di imprenditoria diverso dal latifondo nobiliare. Tutti ingredienti resi con sapienza da Stefania Auci che con L’inverno dei leoni (Nord, pp. 679, euro 20) sembra intenzionata a bissare il successo de I leoni di Sicilia.
Nel primo volume della saga si racconta delle fortune e dei successi di una famiglia di Bagnara Calabra che alla fine del 700 si sposta a Palermo dove – partendo da una piccola bottega di spezie – diviene una delle famiglie di imprenditori borghesi che contendono, con notevole successo, il primato della ricchezza ai nobili grazie a una innegabile capacità e a un potentissimo desiderio di riscatto sociale.

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ALLA FORTUNA DEI FLORIO presso i siciliani contribuiscono però – oltre la leggenda – i posti di lavoro creati per decenni con i cantieri e la compagnia navale, le cantine che producevano il marsala e poi il cognac. Proprietari di tonnare, saline e miniere di zolfo i Florio acquistano l’intero arcipelago delle Egadi e in molti dei loro stabilimenti creano il nido per i figli delle lavoratrici. Benefattori e imprenditori anche nel mondo culturale, per tutti il Teatro Massimo di Palermo che fu fortemente voluto da Ignazio Florio che ne propose nel 1891 la realizzazione in occasione dell’esposizione nazionale come dimostrazione di una Sicilia all’avanguardia.
Così, una sapiente strategia pubblicitaria, il lavoro dei librai e, soprattutto, il passa parola dei lettori hanno contribuito al successo del primo volume – di cui comunque era stata venduta la traduzione negli Usa e i diritti di riproduzione cinematografica ancor prima dell’uscita. Ma tutto questo non basta a spiegare la riuscita della saga: ci sono anche le descrizioni accurate di un mondo che non esiste più, una vicenda affascinante, una famiglia ricca di amori, fortune e tragedie, una scrittura coinvolgente, una capacità di intreccio e un’eccellente documentazione contribuiscono al successo dei romanzi. Auci infatti narra con stile la storia privata dei Florio ma determina anche – oltre la nutrita saggistica sulla potente famiglia – il racconto di quella pubblica, che si proietta sull’Italia intera, dagli inizi dell’800 fino agli anni ’30 del 900.

IL PRIMO LIBRO ha venduto settecentomila copie in trentacinque edizioni, è stato tradotto in trentadue paesi, ed è restato cento settimane in classifica; il secondo – a poche settimane dall’uscita – ha già venduto centocinquantamila volumi. L’autrice, in questo secondo capitolo della saga, restituisce con abilità sia la leggenda della mitica e bellissima Donna Franca Florio – ammirata da principi e intellettuali, compresi D’Annunzio e Puccini, ritratta da Giovanni Boldini, segnata dalla perdita di tre figli e dai tradimenti del marito – che gli scricchiolii e poi il fallimento dell’impero marittimo e imprenditoriale legato con successo alle politiche post-unitarie mentre Ignazio – l’ultimo della famiglia – non sa leggere i tempi che cambiano.

LE SCELTE GOVERNATIVE che privilegiano le grandi imprese del nord, le relazioni con la politica nel periodo del trasformismo prima, della Grande guerra, del biennio rosso e poi del ventennio fascista e dei nuovi equilibri politici nati con la Repubblica segnano le fortune della famiglia. Spregiudicati nell’uso della stampa i Florio fondano il quotidiano palermitano L’Ora pubblicato dal 1900 al 1992 che, a parte durante il Ventennio, fu giornale di impegno civile. Piccole incursioni di Auci nel passato più recente spiegano il valore conservato nei decenni da quella importante testata locale.
Il tratto che più identifica questo secondo volume è l’ossessione per «la casa», la fama di riscatto – agita attraverso matrimoni con la nobiltà palermitana – che si trasforma per le ultime generazioni in assillo e ossessione alla quale i protagonisti non riescono ad adempiere e che segnano la fine della storia dei Florio ma non della loro leggenda.

GRANDE ASSENTE del corposo volume è la mafia, a cui si fa solo velato riferimento in materia di «protezione personale» ma che non compare mai nella dimensione legata agli affari. È vero che si trattava ancora di una mafia diversa, legata probabilmente ai campi e non alla finanza, ma è quella che ha, comunque, contribuito allo sbarco degli Alleati in Sicilia, e che iniziava a disegnare nuovi equilibri di potere. Peccato, è una mancanza che si avverte e il cui racconto avrebbe reso ancor più potente un bel romanzo storico.