Raccontare la vicenda dei ragazzi ebrei di Villa Emma, vicino Nonantola, è semplice perché è una bella storia. E adesso è narrata anche nel romanzo La ragazza dei colori di Cristina Caboni (Garzanti, pp. 295, euro 18.60). Era luglio del 1942 quando un gruppo di ragazzi e ragazze ebrei in fuga dalla Germania e dall’Austria nazista trovarono rifugio nella villa abbandonata in provincia di Modena. A loro si aggiunsero, nell’aprile del 1943, altri bambini e bambine ebrei provenienti dalla Bosnia e dalla Croazia. Una vicenda di fuga e di accoglienza organizzata dalla Delasem, organizzazione di assistenza emigranti ebrei attiva in quegli anni, e di protezione e cura che vede protagonisti insieme al medico Giuseppe Moreali – antifascista impegnato nella Resistenza e dichiarato Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem – e al giovane parroco Don Arrigo Beccari, anche lui nominato Giusto tra le nazioni – l’intera popolazione del paesino.

UNA BELLA STORIA, si diceva, studiata e su cui esistono documentari e libri – anche per bambini e adolescenti. Agli albori degli anni Sessanta, in uno dei Quaderni dell’Istituto storico della resistenza a Modena e provincia, in uno studio dedicato ai ragazzi di Villa Emma, si usa – ed è una delle prime volte – l’espressione «resistenza civile». Una bella storia appunto perché fu una intera cittadina di poco più di diecimila anime, per lo più contadini, a proteggere e ad aiutare i giovani ebrei in fuga. Paradigmatica di ciò che di buono ha saputo fare l’Italia che ha resistito. Una storia in cui non ci sono cattivi.

DOPO L’OTTO SETTEMBRE del 1943 con l’invasione nazista restare era troppo pericoloso e bambini e ragazzi, con l’aiuto della comunità del paese, dopo aver ottenuto dagli uffici comunali nuovi documenti senza la dicitura – allora obbligatoria – «di razza ebraica» cercarono e trovarono rifugio in Svizzera. Alla fine della guerra andranno tutti nella Palestina mandataria, futuro stato d’Israele. Quel paese al completo ha protetto i «rifugiati» di Villa Emma senza più genitori e famiglie. È una storia facile da raccontare perché rimuove e non affronta i nodi irrisolti della nostra storia patria: non l’eredità di venti anni di dittatura fascista, non la persecuzione della Repubblica sociale italiana, non la collusione dei singoli, non le spiate. Bella, appunto, e senza ombre.
A restituirle un po’ di opacità è ora l’ultimo romanzo di Cristina Caboni, La ragazza dei colori. I lati oscuri della vicenda però sono solo quelli offerti dalla fantasia dell’autrice che fa agire la storia nel presente e in cui ciò che resta è il senso di colpa della zia della protagonista per non aver fatto abbastanza, per non aver tenuto fede a una promessa di salvezza a uno di «quei» ragazzi – uno di loro, infatti, venne catturato e ucciso ad Auschwitz.
Ma la fantasia regala il lieto fine anche a quella vicenda. Una protagonista inquieta e alla ricerca di sé a cui la ricostruzione della storia – in cui la partecipazione famigliare è nascosta e dimenticata agli angoli della memoria – restituisce direzione e destino.

SI TORNA ALLORA alla storia facile da narrare nonostante le difficoltà che inquietano la protagonista e malgrado le ombre dell’epoca. Il paradigma del «bravo italiano» – alla cui decostruzione si dedica la più recente e autorevole ricerca storica – è restituito nel romanzo senza alcun dubbio o incertezza. Certo, quella dei ragazzi di Villa Emma è una storia edificante. E proprio così, senza tentennamenti, la restituisce Caboni nel suo libro in un racconto che trabocca, come annuncia il titolo, soprattutto di colori.