Tutto comincia in un reality show, sotto la Torre Eiffel, tra gli aspiranti famosi del piccolo schermo disposti a fare «quasi tutto» per essere prescelti – coppie o danzatrici ispirate, superpalestrati muscoli e tartaruga, facce e look di quelle a cui anni di tv-reality ci hanno abituati, uguali al di qua e al di là delle alpi. O forse comincia qualche decennio prima, nell’Italia del boom, quasi un reality anch’esso a cui stregati dallo stesso desiderio di affermazione parteciparono milioni di italiani in fuga verso il nord della modernità e dell’industria, quella Torino Fiat per prima che luccicava con le sue promesse di una vita nuova.

È LÌ CHE confusi nella moltitudine arrivarono anche i genitori del regista, è lì che si sono conosciuti e si sono innamorati, proprio alla Fiat, cominciando però a guardare altrove, ad altri sogni e altre promesse che avevano un nome vagamente esotico: Togo, la prima cooperativa nel commercio di calzature. La mamma vi entra come contabile, in breve col padre aprono diversi negozi, le cose vanno bene, si guadagna moltissimo, a lanciare il marchio ci sono – ancora una volta – le star televisive di quegli anni, l’Italia «popolare» e variopinta delle «veline», di Canalis, Merz, che si affolla fuori dai negozi e compra.

«Non vi è mancato nulla» ricorda la madre oggi guardando i filmini di un’infanzia italiana anni Ottanta, quella di Gianluca e di Giusy, sua sorella, tra tennis, viaggi, equitazione. E poi cosa è successo? La crisi del nuovo millennio, il precipizio dei fallimenti, i debiti, i dolori, la rottura … Fuori tutto, l’opera prima di Gianluca Matarrese – che ha vinto il concorso dei documentari italiani nel Torino film festival – è una storia famigliare e prima ancora una storia italiana, o meglio una storia di questo nostro tempo incerto, coi suoi movimenti in un’economia «viziata» che definisce il senso della vita e il sentimento che l’attraversa. Come nell’archetipo della tragedia, o della parabola, Gianluca torna a casa, lui che a quella impresa non ha mai partecipato, lasciando la provincia torinese dove è nato e cresciuto per vivere a Parigi e lavorare nel cinema e per la televisione, ritrova i suoi, la sorella, i nipotini, il cognato sballottati in questo disastro che impone – al tempo stesso – questioni mai affrontate, o rimosse, sulle esistenze e le scelte fatte fino allora.

Nessun rimpianto per ciò che è stato ripete convinta la madre che piano piano però sotto i continui colpi di quella realtà durissima vediamo come invecchiare all’improvviso svelando una fragilità tenuta a bada. Gianluca filma ogni istante, cerca nella distanza permessa dalla macchina da presa quella prossimità con la famiglia che sente di avere un po’ perduto. E intanto la storia prende un’altra forma, si avventura su nuovi territori, il trauma del crack che ogni giorno si fa più pesante si porta dietro frustrazioni, rancori – perché il dolore come sappiamo a differenza di quanto si dice non unisce e spesso è occasione per tirare nuovi colpi. Ma questo ritratto di una famiglia in un interno è davvero solo un fatto privato? O appunto non è un passaggio esemplare nel nostro presente e nella nostra storia?

«IL FILM è il tentativo di riappropriarmi della mia famiglia, raccontando la caduta dei miei eroi ordinari che resistono e si oppongono al destino che vorrebbe incatenarli alla disperazione di una vita schiacciata dai debiti» si legge nelle note del regista anche autore del soggetto insieme a Nico Morabito. Lasciando spazio a ciascuno, senza timore e con delicatezza, Matarrese filma il crescendo di discussioni e malumori che accompagnano quello del debito nella cesura tra sogno, rappresentazione, vissuto. E mentre il mondo dei suoi familiari si sgretola, le loro parole della narrazione quotidiana cambiano di segno, quasi che il «Fuori tutto» della svendita esprima l’imperativo dei rapporti: unione diviene sopportazione, scelta sacrificio o rinuncia, un po’ come accade in una collettività in cui la solidarietà – o una possibile resistenza comune – si fanno invece rivendicazione di torti. Eppure nonostante le lacrime e i tristissimi passaggi, ne sono loro – un po’ come tutti noi – pienamente consapevoli?

CI VUOLE molto coraggio per non sottrarsi a tutto questo, e Gianluca Matarrese accetta di rimanere nelle cose fino alla fine, senza retorica, con l’equilibrio necessario: «esterno» e insieme profondamente parte di quanto accade continua a osservare senza tacere i suoi stati d’animo, ascolta e prova a costruire con la memoria che sarà delle sue immagini una possibile ricomposizione in quell che diviene una dichiarazione personalissima di cinema.