«La ragione principale per cui abbiamo scelto di lavorare a questo film è che parla al presente: per gli americani neri le discussioni di sessant’anni fa sono le stesse che hanno luogo oggi». Lo dice Regina King, regista di One Night in Miami, alla presentazione del film a Venezia, alla quale lei, il cast e lo sceneggiatore Kemp Powers hanno partecipato collegati via zoom dagli Stati Uniti. Le «discussioni» di cui parla la regista sono quelle fra Malcom X (Kingsley Ben-Adir), Cassius Clay (Eli Goree), Sam Cooke (Leslie Odom Jr) e JimBrown (Aldis Hodge) nella notte del 1964 in cui il 22enne Cassius Clay vince a Miami contro Sonny Liston: «L’idea per questa storia viene da un paragrafo del libro di Mike Marqusee Redemption Song, sui rapporti fra il mondo dello sport e il movimento per i diritti civili – spiega Powers – in cui racconta della notte passata insieme da questi quattro uomini eccezionali». Quando è cominciata la produzione del film, continua King, «non avevamo modo di sapere quello che sarebbe successo di lì a poco: gli omicidi di George Floyd, Breonna Taylor, e il vero e proprio sollevamento della comunità nera del nostro Paese. Ma quando è accaduto ci siamo detti che nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia questo film doveva uscire adesso. E se One Night in Miami potrà dare anche solo un minimo contributo al dibattito attuale sul bisogno di cambiamento, avremo ottenuto molto più di quanto speravamo».

LA CONVERSAZIONE sui diritti civili, sul modo di portare avanti la lotta, che si svolgono fra i quattro amici «sono le stesse che avevo con i miei compagni di college, sulla scia del dibattito lanciato in quegli anni proprio da queste persone», dice Powers. E viene rappresentata attraverso di loro, continua King, «anche la voce, le discussioni complesse che avvenivano, e avvengono, in tutte le famiglie nere». Tentando inoltre di mostrare «gli esseri umani, con le loro fragilità» che si nascondevano sotto la superficie del mito, consapevoli che «qualunque cosa facessero avrebbe influenzato non solo le loro vite, ma quelle degli altri». Anche in cose apparentemente banali: «Mia nonna – racconta infatti Goree – vedendo il film si è commossa: ricordava come Cassius Clay fosse il primo nero di cui si è detto pubblicamente che era bello. È grazie a questo se gli altri uomini neri hanno potuto cominciare a pensare di essere belli».