Venezia ’73, sezione Orizzonti Corti, Maurizio Braucci presenta «Stanza 52», in cui Serena (Vincenza Modica) dialoga col marito defunto mentre fa le pulizie in una stanza d’albergo «fatata». Quella che mette in scena Braucci è una donna di Napoli, nel senso ontologico che tale espressione può assumere, la quale mentre dialoga con l’aldilà, la stanza 52 dell’albergo dove lavora le fa da tramite fatato, spiccia con mani sapienti e leste le faccende. Un sapere delle mani, di antica spettanza femminile, che rimanda senza mediazioni ulteriori alla cultura popolare, quella dei mestieri e del «saper fare». Serena appartiene a una Napoli reale, assai diversa da quella oleografica e cartolinesca che distrattamente vivono i turisti, i quali se non dovessero vedere il Vesuvio «non se ne accorgono…che stann’a Napoli», una Napoli popolare oggi sospinta ai margini dalla religio nova del guadagno e del veloce consumo. La stanza svolge le stesse funzioni che in «Bella E Perduta» erano dello psicopompo Pulcinella, funge cioè da tramite tra la comunità dei vivi e quella dei morti, secondando quel panteismo non sacrato, tipico delle culture popolari, in cui, al netto delle imposizioni ecclesiali ortodosse, non c’è separazione netta tra aldilà e aldiqua.
Mondano e ultramondano, credenza popolare e religiosità ufficiale si mescolano come umori di un stesso corpo in questa forma mentis sempre aperta al magico, ma mai lontana dal sacro, ed è dunque normale, cioè secondo natura, il fatto che Serena riceva, attraverso la stanza fatata, i messaggi del suo amato Mario morto suicida anni prima. Proprio il confronto tra questa weltanschauung popularis e la precettistica morale della chiesa ufficiale, la morale cristiana codificata, permette a Braucci la tematizzazione, fondamentale per lui, del concetto di colpa e di certo deteriore rigorismo punitivo: «Però bisognerebbe essere un po’ più comprensivi con i peccatori…» dice Serena, che incarna una spiritualità allargata e non canonica ma fondata sulla com-passione «’Sta cosa che per una vita sbagliata, uno deve soffrire per l’eternità…a me non m’ha mai convinto. ‘Na vita per l’eternità? E mica e giusto!». Ritratto di uno spirito, questo «Stanza 52», ben oltre quello del personaggio singolo, affresco di una Napoli sospesa tra la dissipazione del tempo presente, monetario e accelerativo, e il radicamento in una tradizionalità antropocentrista, empatizzante e aperta al magico, al sogno e a una morale più consolatoria e umana.Sul piano formale si nota il montaggio di Sara Fgaier, composto di segmenti piuttosto lunghi , concede «spazio e aria» sufficienti per una costruzione attorica di continuità, di stampo teatrale, ideale per far emergere le doti recitative di Vincenza Modica, che pur nella espressività «piana» di uno stile poco incline a eccessi e virtuosismi mimico-vocali, riesce nella costruzione di un personaggio vibrante ed emozionale, scarpettiano oserei dire, per quell’impasto di ottimismo e dolore, dramma e commedia che la sostiene.

La protagonista è una sorta di metafora vivente di una Napoli antica…

Sono sempre impressionato da quelle donne proletarie che, doppiamente oppresse dalle vicissitudini e dal maschilismo, riescono a vivere con disperato ottimismo. È una mitezza che nasce nei contesti di difficoltà socioeconomica, una scelta di grande civiltà verso i drammi della vita. La mia protagonista, vittima, non si lamenta, anzi, invoca il perdono per questo mondo di peccatori e contesta la visione escatologica della sofferenza eterna per chi sbaglia in vita. È il tema della giustizia in generale, che oggi è fulcro di tutti gli squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra centri e periferie.

La stanza come Pulcinella fa da tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti…

La stanza è un personaggio, comunica con i vivi ma non sempre si fa capire, è anche il luogo del duro lavoro di una donna sfruttata da un albergo di lusso ed è il luogo in cui coesistono tradizione e modernità, dove le stanze possono essere abitate da spiriti che si servono di mezzi moderni per comunicare con i vivi.

Una forma di apertura mentale verso il meraviglioso che oggi manca…

Pragmatismo e nichilismo sembrano i soli modi adatti al mondo dell’oggi e l’idealismo, il rifarsi a valori universali è spesso un fenomeno troppo astratto per coinvolgere una società pratica e veloce. Io non credo che siano i giovani a non badare alla spiritualità, piuttosto sono le generazioni di mezzo ad avere questi due modelli estremi. Il Papa di oggi riscopre l’essenzialità del Vangelo, parla di spirito coniugata in problemi concreti, ma non rappresenta l’intera Chiesa. Compassione contro dogmatismo dottrinario. Serena, sebbene sia una donna semplice, comprende la necessità della compassione e che solo una spiritualità aperta, può trasformare una morale ipocrita.

Dedichi il film a Capitini, teorizzatore della non-violenza …

Ho preso da Capitini l’idea che un inferno eterno sia eccessivo per una sola vita di peccati. È stato un esempio di coerenza, applicava alla vita quotidiana quelle stesse istanze spirituali e religiose su cui fondava anche la propria posizione politica ma schivando quelle dogmaticità oscurantiste che finiscono col motivare un’altrettanto ottuso laicismo.

Napoli al cinema: pizza &mandolino, gomorrismo, oppure…?

E’sempre il problema del voler raffigurare i problemi di Napoli senza però spiegarli o analizzarli. Come si veste, come parla, cosa pensa il camorrista, al pari del mandolino…Bisogna raccontare le cose «storte», ma legandole alle cause sociali, economiche, culturali, altrimenti è esercizio di stile, lo sguardo morale borghese, sulla parte bassa e scura della società.