Oggi il governo licenzia la Legge di Stabilità 2015. Negli ultimi giorni sono circolate molte ipotesi che contraddicono le stesse basi del Def appena approvato dal Governo.

Le previsioni economiche sempre più incerte (audizione della Banca d’Italia del 13 ottobre), la proiezione di spesa sul servizio del debito fondato su uno scenario base di riduzione a 100 punti rispetto ai bond (decennali) tedeschi, diversamente dalle «aspettative implicite» secondo le quali il differenziale si collocherebbe a 170 punti (sempre Banca d’Italia), l’incertezza sull’efficacia delle politiche adottate, hanno eroso molte delle certezze di Renzi e delle politiche a favore del mercato. Alla fine le imprese, i cittadini, come i lavoratori, non reagiscono come si aspettavano. Anche l’Istat ricorda che le previsioni di crescita avranno un impatto negativo sui conti pubblici, con pesanti ripercussioni per il 2015, mentre la stima di crescita programmata del Pil per il 2015, pari a 0,6%, è solo utile per far quadrare i conti. Fortunatamente l’ufficio parlamentare di bilancio (G. Pisauro) riconosce lo stato eccezionale della crisi e giustifica il rallentamento del pareggio di bilancio al 2017.

Lo spazio finanziario che il Governo intende utilizzare è legato alla differenza tra valori tendenziali e programmatici di indebitamento (deficit) e avanzo primario. Fissando l’indebitamento a 2,9% e l’avanzo primario a 1,6% del PIL per il 2015, unitamente allo slittamento del pareggio di bilancio al 2017, il governo riduce il peso della manovra complessiva. Infatti, una parte dei provvedimenti sarà finanziata in deficit e da maggiori entrate. Usando correttamente il metodo Renzi, scusate l’imprecisione, la manovra lorda, cioè l’insieme di tutte le misure, è prossima a 40 mld. Indipendentemente dal metodo Renzi, il posticipo del pareggio di bilancio libera uno spazio di finanza pubblica inedito di 11,5 mld, anche se le policy sottese non sono meno pericolose. Leggendo le proposte del Governo, in particolare quella relativa al costo del lavoro, si potrebbe dire che una parte dello stipendio (dei nuovi assunti) sarà pagato dalla finanza pubblica. Alla faccia dei «capitani coraggiosi».

Alla fine tra spese indifferibili (5 mld) e copertura finanziaria delle misure adottate (stima complicatissima vista l’aleatorietà dei provvedimenti), il governo eserciterà un taglio di spesa pubblica (netto) di 11,5 mld di euro: 6 dai ministeri e 7 dagli enti locali, a cui concorre un ridimensionamento della spesa sanitaria.

Dal lato delle entrate troviamo le peggiori sorprese. La Legge di Stabilità, tra maggiori-minori entrate, registrerà un saldo attivo non inferiore a 1 mld. Il conto è presto fatto e potrebbe non piacere. Il governo prevede nuove entrate da privatizzazioni pari allo 0,7% del Pil, a cui deve aggiungersi la cessione per 1 mld dalle municipalizzate, compensato da un parziale allentamento del Patto di Stabilità Interno per gli Enti Locali. Dalla retrocessione dei debiti pubblici verso i privati si attendono non meno di 3 mld (maggiore Iva), anche se alla voce concorre una parziale rimodulazione delle aliquote Iva, mentre la tax expanditure (agevolazioni fiscali) darà luogo a maggiori entrate. In altri termini, si riducono le agevolazioni, si aumenta la base imponibile e quindi le entrate dello Stato. Ecco il primo segno della spending review. C’è una voce che continuo a non capire relativamente alle maggiori entrate. Come possiamo contabilizzare 3 mld di lotta alla evasione dal momento in cui sono entrate incerte? Non si tratta di una modifica delle aliquote fiscali che danno logo ad una entrata certa. Indiscutibilmente la lotta all’evasione-elusione fiscale è un punto centrale di qualsiasi politica fiscale, la proposta Visco sull’Iva è molto preziosa, ma la fedeltà-credibilità dei conti pubblici meriterebbe maggiore attenzione.

Delle minori entrate, 6,5 mld dalla riduzione del costo del lavoro (Irap e contributi) e 7 mld dal così detto bonus fiscale, è attesa una crescita addizionale del Pil dello 0,2%. Qualcosa non funziona nei modelli utilizzati, oppure i comportamenti di famiglie e imprese si sono profondamente modificati ( Def 2015). Se quasi 14 mld di minore Irap e bonus fiscale danno luogo a una crescita del Pil dello 0,2%, sarebbe appena il caso che la pubblica amministrazione spendesse direttamente questi euro. La crescita del Pil sarebbe pari a 1 punto percentuale, con un effetto occupazionale modesto, ma indiscutibilmente migliore delle performance privata. In realtà, l’intervento si propone di rilanciare la crescita economica riducendo il costo del lavoro, pagato dalla fiscalità generale, nella speranza di stimolare gli investimenti delle imprese. Ma sono proprio le previsioni del Governo a dirci che queste misure sono una bufala e un regalo fiscale alle imprese.

L’intervento sui ministeri e sugli enti locali (13 mld di tagli) non è meno importante delle misure relative alle maggiori entrate. Con una avvertenza: la spending review entrerà a regime dal 2016 con una clausola di salvaguardia, ovvero maggiori entrate da imposte indirette di 12,4 mld per il 2016, 17,8 mld per il 2017 e 21,4 mld per il 2018. Un avviso ai naviganti. La tesi è sempre la stessa: il vincolo alla crescita è l’eccesso di spesa pubblica. Indipendentemente dal fatto che la spesa pubblica italiana, al netto del servizio del debito, è tra le più basse dei paesi europei (Ocse), il messaggio sottostante è inquietante: nonostante l’inefficacia delle risorse liberate ai privati, si pensi alla crescita legata alla riduzione del costo del lavoro, lo stato sarebbe per definizione sprecone. Slogan facile e comprensibile, ma utile solo per evitare il «governo» della spesa pubblica, cioè la possibilità-necessità di ri-allocare le risorse pubbliche dove sarebbe più utile per produrre reddito invece che rendita. In altri termini il governo non intende governare il paese. Brutto messaggio.
Il messaggio che arriva dalla Legge di Stabilità è proprio questo: noi siamo ministri con e senza portafoglio, non potete chiederci di cambiare il motore della macchina senza fermarla. Non siamo né socialisti, né liberali. Siamo solo dei ministri con e senza portafoglio.