Stati Uniti, 2024. È a sorpresa che alla convention democratica che dovrà designare il successore dell’anziano presidente giunto al termine del suo mandato, come candidata alla Casa Bianca si afferma Nathalie Brooks, una brillante carriera alle spalle e un padre che è stato eroe nella Seconda guerra, decorato da Eisenhower. Eppure, come si può scoprire nelle pagine di Operazione Kazan (Salani, pp. 528, euro 18) di Vicente Vallés, dietro l’astro nascente della politica americana potrebbe celarsi una delle più riuscite e complesse strategie messe in atto dall’intelligence russa.

Lo scrittore e giornalista Vicente Vallés

Giornalista televisivo e della carta stampata, analista geopolitico e saggista, con questo suo romanzo d’esordio, autentico bestseller in Spagna, Vallés immerge la spy story nelle contraddizioni del presente, spingendosi con la fantasia solo un po’ più in là di quanto avvenuto nella realtà. Tra gli ospiti del Noir in Festival, l’autore madrileno presenterà il suo libro il 7 dicembre alle 17 alla Libreria Rizzoli Galleria con Aldo Giannuli e Luca Crovi.

Il suo libro precedente indagava sulle ingerenze russe nell’elezione di Trump, l’idea di questo romanzo è nata allora?
Nel 2017 ho pubblicato «Trump e la caduta dell’impero Clinton» dove spiegavo come erano avvenute la sorprendente vittoria di Trump e la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. E parlavo già dell’interferenza russa in quella campagna elettorale. Quindi, nel 2019 è uscito «La scia dei russi morti» dove sono tornato sulle politiche di Putin e il modo in cui agiscono i suoi servizi di intelligence. Da quei due saggi è nata l’idea di scrivere un romanzo che avesse al centro l’azione dei servizi di Mosca per interferire nei processi sociali e politici delle democrazie occidentali.

Il romanzo descrive «l’operazione di spionaggio del secolo». Aveva pensato ad una storia del genere prima della campagna di Trump e, in concreto, c’erano già stati tentativi simili?
Mai prima avevo immaginato la possibilità che accadesse qualcosa del genere. Ma l’ingerenza dei russi per favorire uno specifico candidato negli Stati Uniti, come è avvenuto con Trump, mi ha fatto immaginare, con la finzione narrativa, la possibilità che quell’azione fosse ancora più grande: non solo intromettersi nella campagna elettorale, ma cercare di mettere una spia in un’importante posizione politica in un altro Paese. Non credo che sia successo nulla di così importante nella realtà. Forse il caso più simile è quello di Gunter Guillaume, ex spia della Germania Est che negli anni ’70 divenne segretario del cancelliere della Germania Ovest Willy Brandt.

Qual è il suo rapporto con autori come Le Carré o Greene? Nel suo lavoro si combinano l’attenzione per la geopolitica e il fascino della letteratura spionistica?
Operazione Kazan è il mio modesto omaggio a quei grandi autori di romanzi di spionaggio, cui aggiungerei anche Frederick Forsyth. Sono maestri del genere e io sono solo un principiante. Come lettore, ho apprezzato i loro romanzi e ho imparato molto sulla geopolitica internazionale grazie ai loro racconti. Oltre a ciò, per il mio lavoro di giornalista sono sempre attento alle notizie sull’intelligence.

Il suo romanzo si ispira alla Guerra fredda, ma con l’invasione dell’Ucraina l’umanità è di fronte al rischio di un conflitto nucleare: come si potrà raccontare in futuro il mondo delle spie?
Penso che l’Occidente fosse troppo fiducioso che la caduta dei regimi dell’Est segnasse la fine della Guerra fredda. Ma da quando Putin è salito al potere, il suo obiettivo è stato quello di alimentare la tensione con i Paesi occidentali, perché crede che solo così la Russia sarà riconosciuta come la superpotenza che era ai tempi dell’Urss. Putin è una spia. Si è formato nel Kgb e una delle sue priorità è stata quella di rendere lo spionaggio russo potente come lo era allora. E in larga misura ci è riuscito. Ma i servizi di intelligence occidentali sono molto efficienti. La prima Guerra fredda è stata, in larga misura, una guerra di spie. E anche l’attuale Guerra fredda lo è.