La Sonnambula di Bellini, andata in scena al Teatro Carcano di Milano nel carnevale del 1831, per trama, sviluppo drammaturgico, ambientazione e colore è un melodramma romantico i cui toni si modellano più sull’idillio agreste e sull’opera semiseria che non sulla tragedia come accade per Norma, I puritani o Il Pirata. Sfida non semplice per un regista, che deve confrontarsi oggi con i cliché della svizzera montana in modo da rinnovare senza snaturarli il carattere e il portato drammaturgico dell’opera. Naturalmente la sfida riguarda anche il piano musicale e soprattutto quello canoro, visto che senza una primadonna tecnicamente agguerrita l’opera è destinata al naufragio. All’Opera di Roma la primadonna era Jessica Pratt, in buona forma, nonostante una certa remissività interpretativa e qualche durezza nei passaggi pirotecnici che però via via scompare nel secondo atto.

Accanto a lei Juan Francisco Gatell era un Elvino timido aggraziato ma timido nell’acuto, mentre il giovane Conte del basso Dario Russo e la frizzante Lisa di Valentina Varriale completavano bene il quartetto principale. Giorgio Barberio Corsetti riprende il doppio binario già sperimentato in Fra Diavolo: una scena bozzettistica o di fantasia e il video come mezzo di narrazione di vicende e emozioni. In Sonnambula il meccanismo si incardina sul tratto notturno, trepido e lunare dell’intera vicenda, sulla melancolia e la misteriosa solitudine notturna di Amina, che si colora di blu, bianco nero e rosso nei bellissimi video di Gianluigi Toccafondo, molto familiari al pubblico, visto che l’artista firma da tempo le immagini della comunicazione e i manifesti dell’Opera.

La scena di Christian Taraborelli invece tratteggia un’infanzia sognata fra Hoffmann e Colette, con immensi mobili, letti, enormi poltrone, minuscole casette illuminate e le bambole dei protagonisti. Si insiste sul carattere infantile, della protagonista, che si vede immotivatamente tradita nei suoi teneri affetti di grande bambola mai cresciuta: ne risulta uno spettacolo gradevole, velato di tenui suggestioni psicoanalitiche, cui forse avrebbe giovato maggior varietà nel movimento delle masse e nell’alternarsi delle scene. Speranza Scappucci dirige con sicurezza e tempi ampi, ma la sua concezione romanticamente dolente e ripiegata di Sonnambula sembrerebbe prefigurare due protagonisti di mezzi ben più doviziosi, mentre il tratto brillante e persino nevrotico (le cabalette di Amina) dell’opera sbiadisce in un placido languore. Buona la prova dell’orchestra, meno felice quella del coro, motore tutt’altro che irrilevante dell’azione. Stasera ultima replica.