Islanda. A sentire questa parola, per chi – qui – scrive, scattano associazioni quasi automatiche. La memoria di spettatore anzitutto. Più adulta, tocca il ricordo della visione di un film come Sans Soleil (Chris Marker, 1983). Ma c’è anche una memoria di lettore da considerare: più profonda, più bambina. Questa inevitabilmente riscopre Jules Verne, il suo Viaggio al centro della terra, dove il passaggio per il centro in questione – si sa – è (in) questa isola di ghiacci e vulcani. Cosa vuol dire questo? Che l’Islanda – tralasciando i miti e la storia – è territorio visto e raccontato, nella modernità così come nella contemporaneità. Ma ragionavolmente – ancora – da vedere e raccontare. Cosa si vuol dire con questo? Che chi – qui – scrive non è mai stato in Islanda.

E quello che ha visto (quello che sa) lo deve a testimoni altri, testimoni come Claudio Giunta e Giovanna Silva, autori di Tutta la solitudine che meritate – Viaggio in Islanda, ultima pubblicazione in ordine di tempo di Humboldt Books (www.humboldtbooks.com), casa editrice specializzata in narrativa di viaggio e di cui la stessa Silva è direttrice editoriale.
Detto questo, val la pena accennare due parole sugli autori.

Claudio Giunta è docente di Letteratura Italiana all’Università di Trento, autore di diversi libri (anche di reportage), e collaboratore di giornali come Sole 24 Ore e Internazionale – sito personale: www.claudiogiunta.it.

Giovanna Silva è, invece, fotografa, con un curriculum fatto di esposizioni (Biennale di Venezia 2006), collaborazioni con riviste (Domus, Abitare) e pubblicazioni (Orantes per Quodlibet nel 2011, e due per Mousse Publishing, rispettivamente nel 2012 e 2013).

Ora, tali premesse possono far già intuire di molto la struttura del libro in questione, con due parti – testuale e fotografica – affidate rispettivamente a Giunta e Silva. Si tratta di una scelta in continuità con la formula adottata per i libri di viaggio pubblicati finora dalla casa editrice, per cui il racconto verbale di un territorio, commissionato a studiosi o scrittori, è affiancato e supportato da una significativa parte visiva, data appunto a fotografi di professione. In aggiunta poi, alla fine, un ulteriore spazio, dedicato a contenuti extra.

Una terza parte a cui aggiungere gli appunti locali (informazioni, mappe) e la cui fruizione idealmente continua sul sito della casa editrice, per esempio nelle pagine dedicate all’apparato video relativo alla singola pubblicazione. Tutta la solitudine che meritate non fa eccezione, presentando un dossier assai interessante con contributi, per esempio, su Gente indipendente di H. Laxness e sul rapporto W. H. Auden-Islanda.
Veniamo a questo punto al racconto specifico di Giunta. Si tratta di qualcosa di molto bello. Funziona a diversi livelli, è innegabile. Per chi non ne sa nulla poi è l’occasione di apprendere una conoscenza per così dire umanistica dell’Islanda, dalle basi, cioè dalla geografia e dalla storia locali, dal momento che la prima imprime un ordine alla narrazione, mentre la seconda contribuisce a renderne lo sfondo più profondo e dettagliato. Sembra poco ma è già tantissimo.

L’itinerario compiuto dal duo è stato sostanzialmente circolare, intorno all’isola, da Reykjavík a Reykjavík: una scelta giocoforza orientata data la rete stradale islandese, allo stesso tempo un modo consono di affrontare la natura insulare del posto e familiarizzare con i luoghi da loro incontrati, quei nomi, quelle scoperte naturali e artificiali – qui il pensiero va alla base Nato a Keflavík, alla sorpresa di trovare lì una costruzione del genere e sapere che «non c’è cosa che abbia contato di più nella storia islandese del secondo Novecento» di questa.

Per quanto riguarda la storia dell’Islanda è presto detto: le digressioni di Giunta vanno da quella antica a quella contemporanea, dallo sbarco degli eremiti irlandesi forse nell’ottavo secolo alla recente crisi economica. Sono digressioni mai pedanti e sempre in contrappunto a dialoghi con certe persone incontrate, oppure alle descrizioni di zone visitate. Nel presente, nel viaggio.

«Descrivimi la tua Italia» è una richiesta sensata; «descrivimi la tua Islanda» lo è meno. L’oggetto Islanda, nei suoi pochi ingredienti essenziali, s’impone sui soggetti, vale a dire che non c’è niente che voi dobbiate interpretare, è tutto limpido: semmai è lui, l’oggetto, che interpreta voi». Osservando i Paesaggi dopo tutto di Giovanna Silva – una serie di 32 suggestive fotografie di formato rettangolare, disposte nella parte alta della pagina – l’osservazione di cui sopra sembra concretizzarsi.

Sia se si tratti di ambiente, oppure delle poche abitazioni o attività umane (fare il bagno all’aperto, la contemplazione di un geyser), la sensazione è quella di una realtà tanto presente quanto inafferrabile, in grado – di riflesso – di interrogare la nostra di natura, dove anche la solitudine (tema evocato fin dal titolo e decantato lungo tutto il racconto), cioè il più intimo dei sentimenti, sembra davvero altro, una esperienza unica e diversa rispetto a quella nota da buona parte delle società occidentali. Come definirla? Al riguardo – in aiuto – i paesaggi visti da Silva (mi) suggeriscono una parola: fantascienza.