La macchina delle promesse d’autunno si è messa in moto ieri sera a Porta a Porta: ospite e unico protagonista il premier Matteo Renzi, rinvigorito dalle difficoltà dei Cinquestelle per la vicenda Raggi e pronto a mettere a frutto le possibilità offerte dalla legge di Bilancio. Che improvvisamente diventa “sociale”, perché il presidente del consiglio indica quattro pilastri finora piuttosto bistrattati: «Pensioni minime, anticipo pensionistico, intervento per le partite Iva e salari dei dipendenti pubblici». Allo stesso tempo, Renzi annuncia che la data del referendum costituzionale verrà fissata «entro il 25 settembre», e che cadrà «tra il 15 novembre e il 5 dicembre» (quindi domenica 20 o 27 novembre, o 4 dicembre). Risolvere davvero quei 4 nodi – ma servono molti miliardi – sarebbe un ottimo viatico per il Sì.

Rimanendo sul referendum, si deve citare un altro passaggio, dove il premier ha spiegato che sulle dimissioni nel caso di vittoria del «No» «non ci ho ripensato. Ma siccome in tanti mi hanno detto che non dovevo personalizzare il referendum, ho detto solo che non parlo più del mio futuro». Fuori dal politichese: se vince il No mi dimetto, ma adesso non parliamo di me.

Referendum e legge di Bilancio interessano tutti i cittadini, ma certamente l’incrocio è particolarmente significativo per la Cgil e i suoi 5,6 milioni di iscritti: oggi e domani, in una Assemblea generale a Roma con 350 delegati, il sindacato guidato da Susanna Camusso ufficializzerà il suo no alla riforma voluta da Renzi, già espresso in un documento molto critico approvato dal Direttivo in maggio.

Il no della Cgil è molto serio nei contenuti: il documento di maggio, in sole due paginette, spiega perché la riforma metta a rischio gli equilibri democratici e la stessa centralità del Parlamento e degli organi di garanzia, a favore del partito che ha la maggioranza di governo. Detto questo, però, e non scopriamo l’acqua calda, la Cgil non ha mai reciso il suo legame con il Pd – o comunque non lo hanno fatto tanti suoi dirigenti – nonostante gli screzi e gli scontri con Renzi. Se in maggio non si è voluto dare un No esplicito, e se oggi è inevitabile pronunciarsi visto che ad esempio già Cisl e Confindustria lo hanno fatto, dall’altro lato il sindacato non entrerà in nessun comitato, insomma non farà campagna.

Un modo per riavvicinarsi al premier, riannodare i rapporti soprattutto quando in ballo ci sono i 4 pilastri sociali citati proprio ieri sera da Vespa? Si vedrà, perché l’elaborazione della legge di Bilancio è lunga e sempre complicata, quindi le famose 4 voci potrebbero anche sparire con l’emendamento di una notte, o magari venire soddisfatte solo di facciata: un esempio per tutti, il contratto del pubblico impiego. Per rispondere realmente alle richieste del sindacato ci vorrebbero almeno 7 miliardi di euro (calcolo Uil), la passata legge di Stabilità aveva stanziato solo 300 milioni: tutti ci auguriamo che l’enorme gap venga colmato, ma la riteniamo una mission impossible.

Sulle pensioni, essendo un capitolo che costa meno, forse ci sono maggiori speranze: ieri Renzi ha voluto insistere sulle fasce più sfavorite e sui costi in caso di uscita anticipata, che addirittura – parole sue – sono diventati «un’inezia». «Metteremo più denari in tasca a chi di pensione prende poco poco». Sarà «una sorta di quattordicesima», come quella già istituita «dal governo Prodi per chi prende meno di 750 euro al mese».

E poi «tutti quelli che sono arrivati a tre anni prima della pensione o attraverso anticipo pensionistico che costi un’inezia o con accordi privati potranno andare in pensione anticipata«,
Infine l’attacco ai Cinquestelle: «Scene tristi, indecorose per tutti – ha detto il premier parlando del caso romano – Mai viste tante bugie tutte insieme, ma da italiano e da presidente del consiglio sono dispiaciuto, non compro i pop corn e non festeggio. E sono dispiaciuto che se Roma non si smuove perde la gigantesca opportunità per la città delle Olimpiadi».