Ogni singola notte sogno di dormire con un uomo dalla testa di bisonte, di camminare nella notte in una Parigi con la Tour Eiffel illuminata come un albero di Natale e dietro di me un polipo gigantesco atteggia i suoi tentacoli come una modella in passerella. Ogni singola notte vengo trafitta da lunghi raggi luminosi che mi trapassano e mi uniscono al mondo, a un mappamondo che divide città, nazioni, paesi. Vago per la città buia, i miei capelli sono le viscide propaggini dell’ottopode mollusco cefalopode. Sono circondata da lumache che si portano appresso la casa, mi sopraffanno, sono su un prato, sono una danzatrice hawaiana con la gonna di paglia verde, posso giocare con me stessa come fossi una bambolina. Qualcuno mi illumina con dei fiammiferi elettrici, spero mi diano la forza di superare i miei limiti, i miei incubi…

Come in un porno dalla trama scontata sono sdraiata su un tavolo per la strada, immobilizzata, intorno uomini che mi toccano tra macchine che sfrecciano. Sono la strega delle favole con il mio vestito nero fino ai piedi, ho un coccodrillo in uno stagno pieno di alberi dalle radici maestose ma sono in una gabbia dello zoo, dove tutti mi vedono. Sono una sirena, una maîtresse circondata di busti maschili scolpiti, sono sdraiata su un mosaico bellissimo, parlo con le chiocciole che abitano le mie braccia, il mio dito indice, me ne avvicino una alla bocca, sono il suo carnefice e il suo confessore.

Ho i pomelli rossi, afferro un pesce, sto per scagliarlo nella vasca del coccodrillo. L’acqua mi attrae anche se insidiosa, entro non entro questo il dilemma. Nuoto rovesciata sul prato, forse mi hanno pescata: ecco le linee che mi trafiggono come fulmini condensati, fili che mi uniscono all’universo, mi lascio abbracciare da un teschio senza ossa fatto di nervi e sono in pace, nella borsa trovo un cervello tutto rosa con della terra sotto, come fosse stato dissotterrato dopo tanto tempo.

Ritorno sul ponte, le luci notturne diventano mie amiche, la spropositata testa dell’octopus fa capolino. Nuoto in aria, l’acqua sotto di me, tutto è blu, ogni notte è una lotta col mio cervello, voglio solo sentire tutto, il tempo è trafitto, mucca con testa di Torre Eiffel, il mio compagno di letto ha ancora la testa di bue e mi aspetta nella camera rossa, sono in un teatrino antico col sipario di carta sottile decorata. Tutto torna indietro, sono per la strada da sola, i cetacei sono spariti, indietreggio verso la testiera del letto accanto al mio uomo-toro e mi accoccolo qui, in pace? al sicuro? imprigionata, schiava, libera dalle mie paure di ogni notte? (Every single night Fiona Apple)
Domenica sera vado con degli amici al concerto di Patti Smith. L’ultima e unica volta che l’ho vista dal vivo era il 1999, a Ostia Antica, con l’allora direttore del teatro di Roma che l’aveva invitata.

Patti non è cambiata: è forte, un animale da palcoscenico, canta, profetizza, balla e sputa. Ha quasi settant’anni e la grinta di una angry young woman. Non ha nulla in comune con Fiona Apple ma entrambe toccano delle corde tese nel mio cuore. Al termine del concerto mi accorgo di essere passata dall’altra parte della barricata, quelli che si commuovono ascoltando My generation degli Who, pezzo finale, omaggio a un’epoca. E questo mi rende forse, ancora una volta, più folle di loro.

Fabianasargentini@alice.it