Il governo delle larghe intese, rafforzato dagli ultimi “comici” avvenimenti, non è un’anomalia italiana, ma ormai il modello che tende a prevalere in diversi paesi europei. Il grande centro, non è punto di equilibrio virtuoso tra forze contrapposte, ma lo stallo, il disperato tentativo delle classi dominanti di mantenere lo status quo, il segno di una politica diventata “amorfa”, incapace di trovare una forma ed un contenuto diversi dal neoliberismo e dall’austerity, per uscire dalla Grande Depressione che sta impoverendo, economicamente e socialmente, la grande parte della popolazione europea.

Per questo le prossimi elezioni europee sono una grande occasione per far sentire che esiste un’altra visione dell’Europa, una vera via d’uscita dalla crisi. Con una parola-chiave: riequilibrio. Riequilibrare per trasformare la società europea nel senso della democrazia, della giustizia e dell’equità. Questa crisi è il frutto di uno squilibrio: tra finanza ed economia reale; tra la cessione di sovranità di singoli stati e l’assenza di democrazia negli organi di governo della Ue; tra i redditi dei ceti medio-alti ed il resto della popolazione; tra produzione e un ambiente sempre più disarmato verso l’urto del consumo di territorio e sostanze inquinanti; tra classi dirigenti e il resto dei cittadini con un inedito deficit democratico; tra Nord e Sud Europa, con l’iniziale divario ormai diventato un abisso.

La crisi è globale, ma in Europa le conseguenze sono più gravi perché più che vittima della crisi l’Europa lo è delle politiche delle classi dirigenti. Pertanto, per salvare l’Europa, per non affossarla – come faranno le forze centriste e dell’estrema destra nazionalista lasciate operare – dobbiamo imprimere una svolta radicale basata su alcuni elementi essenziali:

1)Un riequilibrio dei redditi, colpendo la rendita finanziaria, premiando il lavoro e l’occupazione, garantendo al contempo a tutte/i un reddito di base, allargando in senso universalistico il welfare europeo. Così da permettere un effettivo riequilibrio nella bilancia dei pagamenti tra i paesi esportatori del Nord e quelli importatori del Sud. Diversamente si accentuerà la distanza fra debito e credito nell’eurozona.

2)Un riequilibrio nel rapporto economia/ambiente, riconvertendo le produzioni inquinanti e favorendo le produzioni ecologicamente sostenibili, in luogo delle “grandi opere”, inutili ed inquinanti, programmando un capillare intervento di salvaguardia del territorio, oggi più che mai nudo ed indifeso di fronte ai cambiamenti climatici. Un vero programma di investimenti pubblici e privati a livello europeo.

3)Un riequilibrio nei rapporti democratici fra cittadini e organi di potere. Il peso delle decisioni va spostato sul parlamento, organo elettivo, non sugli organismi designati dai governi, in un’ottica di un’Europa federale.

4)Un riequilibrio fra i poteri della politica e quelli della finanza, oggi solo a vantaggio di quest’ultima. Con una revisione del ruolo della Bce e la piena occupazione tra i suoi obiettivi, il potere di prestare direttamente ai singoli paesi in difficoltà, diventare uno strumento di una politica sociale e non il dominus dell’economia. Significa tagliare le unghie alla finanza con la Tobin tax, l’eliminazione dei paradisi fiscali, la separazione delle banche commerciali da quelle di rischio, la drastica limitazione dell’uso dei derivati.

5)Un riequilibrio nel rapporto Nord/Sud spostando l’asse della Ue verso il Mediterraneo, attraverso una forte alleanza tra i paesi del Sud-Europa, a partire dalla ristrutturazione del debito pubblico. Esigerne la restituzione a tappe forzate come vuole il fiscal compact significa uccidere le economie più deboli e accrescere il debito stesso. Vogliamo salvare le popolazioni del sud, i profughi, i migranti dalle stragi a cui questa Europa neoliberista e tecnocratica li ha condannati, riducendo il mare nostrum a un immenso cimitero del migrante ignoto.

Tutto questo comporta una revisione dei trattati fondativi e la cancellazione di quelli successivi che strangolano le economie (fiscal compact). Questa è l’unica, realistica, strada per salvare l’unità europea, per evitare che l’euro sia un cappio insopportabile e funzioni solo a vantaggio delle economie più forti. Molti, in campo intellettuale e politico la pensano come noi, ma ancora manca una forza dotata di autorevolezza e consistenza che esprima questa visione e persegua con coerenza questi obiettivi. Questo problema si presenta in Italia in termini drammatici e urgenti. Il “grande centro” ha definitivamente spazzato via le differenze tra centro-destra e centro-sinistra, ed il malcontento che sale in Europa può diventare appannaggio di forze di estrema destra e dell’astensionismo. Dobbiamo avere il coraggio di progettare un percorso unitario, sfruttando anche l’esempio positivo che ci viene da alcuni paesi europei, con forze e movimenti che si richiamino a questi valori e obiettivi essenziali, puntando sulla concretezza più che non sulle sigle o i richiami ideologici. Dobbiamo guardare a una grande alleanza euromediterranea, che sappia parlare anche ai popoli del Nord dell’Europa, un’alleanza di lavoratori, precari, disoccupati, di donne e di giovani, protagonisti di una nuova cooperazione Sud-Nord nella Ue e nel Mediterraneo.

Su queste basi pensiamo sia possibile costruire un nuovo schieramento politico, in grado eventualmente anche di partecipare alle prossime elezioni europee, in sintonia con le esperienze di sinistra d’alternativa di altri paesi europei, che si proponga di salvare l’unità europea trasformandola. Una forza radicale e di sinistra, sul piano dei valori, degli obiettivi e delle pratiche.

Vogliamo un’Europa di nuova generazione, perché ha bisogno di essere rifondata e nei giovani ha proprio futuro. Ci piacerebbe aprire una pubblica discussione.