«L’Europa si trova in un momento molto difficile, non è mai stata in pericolo come in questo momento. Non c’è solidarietà, non è sociale, non è democratica e non è ecosostenibile. Non è trasparente, è troppo burocratica e vuole anche militarizzarsi. È una triste situazione. Ma noi abbiamo il dovere di salvarla e di darle un nuovo corso».

Gregor Gisy può essere considerato come il Gorbaciov della Germania est: fu lui, figlio di un ex ministro della Cultura della Ddr e avvocato di dissidenti, a traghettare dopo il crollo del Muro di Berlino il partito comunista, la Sed, verso la trasformazione in Partito del socialismo democratico (Pds) prima e poi nell’attuale Die Linke (La Sinistra, in tedesco).

Oggi che i venti nazionalistici spirano forti pure a sinistra, non ha esitazioni a dichiararsi europeista, sia pur non lesinando critiche a un’Unione a suo parere «non democratica, non sociale, non ecocompatibile».

«Abbiamo una gioventù che è nata e vissuta nell’Unione europea e non possiamo riproporre loro i vecchi Stati-nazione», esordisce.

Ma non è l’unico e nemmeno il principale argomento a sostegno dell’Europa unita: «Gli stati nazionali singolarmente non possono competere con grandi potenze economiche come gli Usa e la Cina. Solo con l’Unione si può avere un ruolo nell’economia. Inoltre, bisogna considerare che da quando è nata l’Ue non si è mai verificata una guerra tra due stati membri, mentre la storia ci insegna che prima il continente era stato più volte campo di battaglia. Io critico molto l’Unione europea, ma voglio salvarla, mentre la destra pensa solo a distruggerla».

Non solo la destra. La «questione europea» divide pure le sinistre radicali. Basti pensare alla spaccatura di Syriza in Grecia dopo il referendum sull’accettazione del Memorandum, per non parlare dell’antieuropeismo del Kke. In Italia il Movimento 5 Stelle propone un referendum per l’uscita dall’euro e a Bruxelles è alleato con i filo-Brexit dell’Ukip. Oggi a Roma scenderanno in piazza euroscettici di destra e di sinistra.

Non è una novità. Già negli anni Venti ci sono stati i nazional-comunisti. Ma io credo che una persona realmente di sinistra non può che essere internazionalista. Anche da noi ci sono alcuni che vogliono tornare alle valute nazionali, ma sono pochi. Io mi oppongo a questa posizione, perché ritengo che le conseguenze di un abbandono della moneta unica siano incalcolabili e non controllabili. Il mio partito, la Linke, è fortemente contrario alla fuoriuscita dall’euro e dall’Ue e non c’è nessuna corrente interna che lo propone. Questo punto di vista è ultramaggioritario in tutta la sinistra tedesca. Solo alcuni pensano che una parte delle competenze devolute all’Europa debbano tornare allo Stato.

Lei cosa ne pensa?

Sono un sostenitore del principio di sussidiarietà. A mio avviso, alcune funzioni potrebbero essere restituite ai Comuni, mentre il resto deve essere deciso a livello europeo. Ad esempio, penso che la tutela dei diritti fondamentali debba essere rivendicata di fronte a un tribunale internazionale. In questo modo, l’Ue sarebbe più democratica.

Intanto, si prepara un’Europa a due velocità, anche se nella dichiarazione finale del vertice di oggi la proposta è annacquata per non perdere il voto dei polacchi. Le sembra una via d’uscita dalla crisi in cui versa il continente?

Personalmente sono contrario, anche perché la proposta mi pare fumosa e lacunosa. In ogni modo, anche se non sono favorevole e penso che indebolirebbe l’Ue, credo che accadrà.
In tutto il continente crescono populismi di estrema destra e razzismo. Che fare per contrastarli?
Credo che il mondo dell’economia e sindacale, dell’arte e della cultura, i media e tutta la politica democratica debbano sedersi attorno a un tavolo e ragionare su come fermare l’ondata di paura che attanaglia l’Europa. Su un altro versante, abbiamo bisogno di partiti conservatori che possano neutralizzare le pulsioni peggiori e le spinte populistiche. Questo è il loro compito storico. Infine, c’è bisogno di una spinta sociale: in Germania la Linke, la Spd e i Verdi dovrebbero coalizzarsi. Questo ci consentirebbe di dimostrare anche più solidarietà nei confronti della Grecia e dei paesi del sud Europa e farebbe venir meno i motivi per i quali i populisti sono votati. C’è molto lavoro da fare. Ma la base di partenza è che Marine Le Pen non vinca le presidenziali in Francia. Se malauguratamente dovesse accadere, l’Europa sarebbe morta.

A settembre si voterà pure in Germania. Il candidato della Spd Martin Schulz potrebbe scalzare Angela Merkel, con un programma più di sinistra.

Martin Schulz è molto popolare in Germania, molti lo considerano un outsider, un personaggio mai compromesso con l’establishment. Ha fatto promesse molto ambiziose, come l’abrogazione dell’Agenda 2010 di riforme del welfare e del lavoro che pure furono i socialdemocratici di Gerhard Schroeder a presentare. È un uomo molto ambizioso che aspira alla Cancelleria da tempo, punta ad essere il Willy Brandt del Duemila. Però dubito che per rispettare il loro programma i socialdemocratici trovino l’appoggio della Cdu di Angela Merkel o dei liberali. È più logico che cerchi un accordo con noi e con i Verdi. Se non mantiene le promesse che ha fatto, rovina completamente l’immagine della Spd. La nostra speranza è che si torni a una socialdemocrazia come quella di Brandt.

Ritiene dunque possibile una coalizione rosso-rosso-verde?

Non lo so, perché in Germania le alleanze di solito si decidono solo alla vigilia delle elezioni. Vuol dire che chiamerò Schulz una settimana prima del voto per chiederglielo.