«Ci hanno visto come appartenenti alla famiglia imbolsita del governo del paese e dei salotti del notabilato». L’inclemente immagine, praticamente un quadro della borghesia in disfacimento di fine Ottocento, è di Sandro Medici già giornalista del manifesto e da ultimo candidato di Sinistra per Roma, il più votato dopo Stefano Fassina. Medici è uno degli organizzatori di un altro sabato di riflessione sul voto delle amministrative – il secondo sabato consecutivo alla Casa delle donne di Roma -, voto da cui la sinistra è uscita suonata come una campana. Non ovunque. Nel dibattito prendono parola soprattutto uomini e donne delle liste cittadine – aderiscono all’iniziativa 60 liste, più di 40 intervengono – per raccontare com’è andata. Luci e ombre: per esempio nello smagliante risultato di Sesto Fiorentino (vince il sindaco di Sinistra italiana) liste sorelle, anzi compagne, restano divise, racconta Ivan Moscardi.
Ma al netto di qualche successo il risultato si ferma «sotto il minimo sindacale», spiega il sociologo Marco Revelli, prosciugato da «una richiesta di rappresentanza ormai superata dalla volontà di vendetta» contro la sinistra «dall’identità incapacitante: non si riconoscono più nelle nostre promesse». «Dobbiamo cambiare pelle», è la proposta di Revelli e Medici, «allargare a spallate il nostro spazio, tornare da dove siamo venuti, e cioè i conflitti e le lotte». Per fare cosa? La proposta è: «Partecipare in maniera autonoma e non subalterna al processo di unificazione, quello di Sinistra italiana e quello ’insorgente’ di De Magistris».

Tutto questo variegato mondo di esperienze e pratiche potrebbe presto stringere «una convenzione», come propone il deputato Giulio Marcon. Non una federazione, già fatta e andata a male; e nemmeno un partito, già in corso di costituzione (sabato prossimo terrà l’assemblea di Sinistra italiana). Intanto «lunedì a Roma nascerà un’associazione che riunisce tutte le anime della lista elettorale cittadina», annuncia Fassina. Tema non pacifico. Infatti Francesco Auletta di Pisa,: «Non vogliamo fare il partito delle città ma neanche far usare le liste delle città per fare un partito». Sinistra italiana è pregata di deporre l’ambizione di partito unico dell’area. «Nessuno può crescere su se stesso», insiste Paolo Ferrero, Prc. «Nessuno si chiuda nella difesa della propria insufficienza», gli fa eco Claudio Riccio di Act. Meglio provare con una «convenzione». O «una confluenza», come quella spagnola descritta da Henar Moreno di Unidos Podemos che racconta le esperienze di Madrid e Barcellona. Del resto già prima del voto il candidato torinese Giorgio Airaudo aveva proposto una «rete municipalista». Ora tutto sta a dare seguito a tanti ottimi propositi espressi nei due sàbati romani. È stato deciso un appuntamento a metà settembre: liste, partiti e associazioni, stavolta tutti insieme.

Ma il convitato di pietra della discussione è Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli cui viene attribuita l’ambizione di fare un salto verso la leadership nazionale di un’area che si autodefinisce «ribelle» a cavallo fra sinistra e M5S. Da qui si guarda a lui con interesse ma anche preoccupazione. Il sindaco dalle pirotecniche scivolate populiste – qui non considerate universalmente un difetto – ha voluto tutti «i compagni» nelle sue liste. Ma per ora evita di rispondere agli inviti al confronto e resta alla larga dalle liturgie della parola della «sinistra storica». O quasi. Fassina racconta di averci fatto «una chiacchierata a Napoli proprio ieri». Ma è chiaro che «Giggino» guarda oltre. Due settimane fa ha incontrato il greco Varoufakis a Roma e in quell’occasione ha fatto gli auguri alla neosindaca Virginia Raggi tendendole significativamente la mano: «Spero che ci possa essere un rapporto di collaborazione. Noi siamo la città che abbatte muri, non ha pregiudizi. Guardiamo con interesse a chi è contro il sistema». Il 14 luglio sarà a Venezia a confronto con la sindaca di Barcellona Ada Colau, entrambi ospiti di Gianfranco Bettin, presidente della municipalità di Marghera. L’incontro si intitola non a caso «città ribelli per cambiare l’Europa».

Ultima notazione di cronaca. Per il secondo sabato consecutivo nel dibattito sul futuro della sinistra non entra, se non di striscio e giusto in un paio di interventi, il tema del referendum costituzionale, cruciale per il resto della politica italiana. La vittoria del no farebbe cadere il governo e terremoterebbe tutto il quadro. Per non dire che «salverebbe la Costituzione da una torsione oligarchica», come pure si sostiene da queste parti. E va bene che «l’alternatività al Pd è fondativa e costituente» di quest’area, come assicura l’eurodeputata Eleonora Forenza; ma il rischio è che l’autonomia dal Pd si traduca in indifferenza verso il governo e scarsa mobilitazione. Ovvero un aiutino alla vittoria di Renzi. Da sinistra.