Finalmente ci siamo. Dopo mesi di ritardi arriva il congresso fondativo di Sinistra Italiana come occasione per definire una proposta politica autonoma della sinistra in Italia guardando a quanto accade in Europa: i muri anti-immigrati ma anche le speranze rinnovate nel recente congresso di Podemos e la resistenza della Grecia di Tsipras.

Una parte dei promotori iniziali ha deciso di non partecipare: una scelta politicamente incomprensibile perché il dialogo e il confronto anche aspro sono il sale di un congresso fondativo.

Ma il congresso di Si deve rimanere aperto, accogliente e inclusivo anche oltre il suo svolgimento.

Congresso aperto perché dobbiamo essere seme e lievito di una ricerca costante innanzi tutto delle forme della politica e della rappresentanza, della stessa identità nominale sapendo che la parola sinistra non basta più a rappresentare un’alternativa, che l’ecologia è contenuto che non può uscire dalla finestra secondaria rischiando addirittura di fare passi indietro rispetto alla stessa elaborazione di Sel.

Congresso aperto perché non possiamo riproporci con lo sguardo rivolto alle formule del passato come l’Ulivo e il centrosinistra.

Dobbiamo essere chiari: l’Ulivo è finito nel 2008 con la caduta del governo Prodi perché non reggeva più il blocco sociale che ne era alla base: quel ceto medio che nell’avvicinarsi prima e nell’esplosione della crisi dopo, veniva cacciato nella percezione di una nuova povertà che lo investiva direttamente e ancora di più nelle prospettive dei propri figli.

Il centrosinistra ha perso perché non è riuscito in Italia e nel mondo a mitigare la durezza sociale e ambientale della globalizzazione.

Per chi di noi era a Genova nel 2001 in fondo la conferma della necessità di una nuova narrazione no global, altermondista e antiliberista tutt’altro che minoritaria o peggio settaria.

Dobbiamo costruire la nostra autonomia non per isolarci ma per sparigliare il campo non solo della politica ma quello sociale, delle periferie geografiche e popolari altrimenti luoghi di conquista del razzismo e di nuovi muri.

Un congresso aperto perché è consapevole che non si può ricostruire la sinistra parlando solo di alleanze senza contenuti e senza popolo ma ha la responsabilità democratica e costituzionale di indicare anche una prospettive di governo e le necessarie aggregazioni elettorali per rendersi utile alle proprie battaglie.

Insomma da Rimini deve uscire una sinistra aperta che non si ritrae dal campo ma semmai cerca di attraversarlo con la propria autonomia e libertà rompendo la stagione della subalternità.