Escono insieme dal palazzo dove è in corso la conferenza sul Sahel. Si dirigono fianco a fianco, sorridenti, a piedi, verso la nuova sede del Consiglio europeo. Angela Merkel, Emmanuel Macron, Paolo Gentiloni: l’immagine plastica di un Italia che, con Gentiloni premier, otterrà quell’ingresso nella ristretta cabina di regia europea che Renzi ha inseguito invano per tre anni.

Un quadretto che vale più di dieci comizi. Se l’endorsement delle ultime settimane non fosse stato abbastanza netto, se il messaggio esplicito sino alla brutalità di Giorgio Napolitano non suonasse abbastanza esplicito, la corte europea ricorre alla scenografia per fugare ogni possibile dubbio. Gentiloni è l’uomo della Ue in Italia ed è lui che deve continuare a occupare palazzo Chigi.

LA SCENOGRAFIA, appunto. Preparata con attenzione massima, curata sin nei particolari, più essenziale di qualsiasi discorso paludato. Prima l’incontro a cena, giovedì sera, poi l’imprevista conferenza stampa congiunta, la destinazione nel medesimo hotel, tutt’altro che casuale, infine l’uscita pubblica, in formazione da squadra coesa e collaudata.

[do action=”quote” autore=”Jean-Claude Juncker”]Sono stato frainteso. Avevo detto chiaramente che, come Commissione, pensiamo che in Italia ci sarà un governo che possa lavorare dopo le elezioni[/do]

Quel che non era stato preparato ma che si è reso necessario all’ultimo momento è l’effusione del presidente della commissione Jean-Claude Juncker che abbraccia «Paolo» in pubblico e se lo stringe al petto prima di rimangiarsi ancora una volta quel messaggio allarmista sui rischi elettorali italiani che aveva creato giovedì una mezza tempesta: «Sono stato totalmente frainteso. Il giorno prima avevo detto chiaramente che, come Commissione, pensiamo che in Italia ci sarà un governo che possa lavorare dopo le elezioni».

Probabilmente non è il solito tentativo di rimangiarsi tardivamente una frecciata al curaro. Il belga voleva davvero spezzare la sua lancia, come Napolitano e come la coppia Merkel-Macron, a favore di un governo del presidente guidato da Gentiloni tale da fugare il rischio di un «governo non operativo». Solo che l’uscita era venuta fuori malissimo, e aveva finito per sortire effetti opposti a quelli voluti.

NULLA DI GRAVE. Nulla che non si possa cancellare con un abbraccio e una bella passeggiata a tre. L’Europa vuole Gentiloni premier e vuole che si sappia. Ma un pronunciamento così franco come quello inaugurato tre giorni fa da re Giorgio finisce per mettere nei guai l’uomo chiave di qualsiasi strategia miri a reinsediare Gentiloni a palazzo Chigi.

La sola formula che possa prescindere dal semaforo verde di Arcore, una vittoria del Pd, è fuori discussione. Restano solo l’accordo con Fi, se i numeri lo permetteranno, o un governo del presidente, formula preferita dall’establishment perché ridurrebbe il peso dell’assai poco amato Renzi. In entrambi i casi, il perno dell’operazione sarebbe situato ad Arcore.

IL PROBLEMA È CHE l’elettorato è ormai consapevole del progetto di intesa Pd-Fi, nell’una o nell’altra formula, e più se ne parla più si registrano avanzamenti della Lega. «La formula di Salvini secondo cui chi vuole davvero votare per la destra vota per lui sta funzionando», commenta sconsolata una dirigente azzurra.

[do action=”quote” autore=”Silvio Berlusconi”]Non possiamo governare con il Pd. Ci siamo impegnati a non fare una grande coalizione. Senza maggioranza Mattarella rimanderà il Paese al voto[/do]

Le parole incaute pronunciate ieri mattina da Berlusconi a Rainews24 sono state quindi pioggia sul bagnato e hanno seminato il panico nello stato maggiore di Fi: «Rifarei il Nazareno. Era un accordo di collaborazione ed è saltato dopo che Renzi ha cambiato idea 17 volte e ci siamo trovati presidente un candidato che non era quello stabilito».

Nel pomeriggio, a Matrix, il signore d’Arcore inverte la rotta: «Non possiamo metterci a governare con il Pd. Ci siamo impegnati a non fare una grande coalizione. Senza maggioranza il senso di responsabilità di Mattarella lo porterà a rimandare subito il Paese al voto».

In queste condizioni, pur non avendo ancora deciso, probabilmente Berlusconi finirà per partecipare alla manifestazione unitaria a conclusione della campagna elettorale: un passo che ha acquistato giorno dopo giorno un peso simbolico notevole e che renderebbe ben più difficile un ripensamento a urne chiuse.