Incostituzionale. La legge Fini-Giovanardi è stata spazzata via dalla Consulta e non, come avrebbe dovuto essere, dalla politica, dopo otto anni di pene abnormi che nessuno potrà ripagare. Otto anni di sofferenze per migliaia di persone entrate nel circuito penale e sanzionatorio, recluse, morte perfino, a causa del furore ideologico delle destre e dell’ignavia del centrosinistra (solo il ministro Paolo Ferrero, con l’ultimo governo Prodi, tentò inutilmente di cancellarla), e a tutto beneficio dei narcotrafficanti. La Corte costituzionale ieri ha dichiarato illegittima la legge 49/2006 «per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge». Un quadro normativo che, come ha già ricordato il manifesto in questi giorni, venne introdotto forzatamente – ricorrendo al voto di fiducia – durante l’iter parlamentare di conversione del decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino con gli articoli 4-bis e 4-vicies ter, dichiarati incostituzionali ieri dagli ermellini, e che riscrisse completamente gli articoli 73, 13 e 14 del Testo unico sugli stupefacenti, il dpr 309/90. Per entrare nei dettagli bisognerà attendere le motivazioni della Corte che saranno scritte dal giudice relatore Marta Cartabia, ma è chiaro fin d’ora che l’equiparazione delle sostanze leggere a quelle pesanti, poste in un’unica tabella nella Fini-Giovanardi, e delle condotte – la detenzione per uso personale assimilata allo spaccio – sono ormai carta straccia. Perché torna a rivivere la pre-esistente normativa, la Jervolino-Vassalli emendata dal referendum promosso dai Radicali nella primavera del 1993, secondo la quale non è punibile la detenzione a scopo di uso personale, qualsiasi sia il quantitativo (venne abolita la «dose media giornaliera» che era la soglia per la configurazione del reato di spaccio) e per qualsiasi sostanza.

La coltivazione di marijuana però resta ancora un reato punibile con sanzioni penali elevate, perché anche per la Jervolino-Vassalli viene equiparata allo spaccio. Le pene però sono ridotte da 2 a 6 anni di carcere (per la Fini-Giovanardi erano da 6 a 22), mentre per il traffico di cocaina, eroina o droghe sintetiche sono previsti dagli 8 ai 20 anni di reclusione. Ora si spera che la differenziazione dei reati e delle pene faccia tornare rapidamente ad un mercato separato tra sostanze leggere e pesanti, come era prima del febbraio 2006. Anche se in Parlamento giacciono già alcuni disegni di legge – in particolare quello del deputato di Sel, Daniele Farina, che prevede la depenalizzazione delle droghe leggere, giunto in commissione Giustizia – la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini, sollecita la legalizzazione della cannabis. «Per quanto mi riguarda, da pluripregiudicata come Pannella e altri radicali, continuerò a disobbedire fino a che i malati e i consumatori saranno costretti dalla legge a rifornirsi al mercato criminale», aggiunge Bernardini che si è auto denunciata a Foggia per la coltivazione di alcune piante di marijuana senza però aver ottenuto l’arresto. D’altronde, se Matteo Renzi mantiene la parola – «Legalizzare l’erba? Prima via la Fini-Giovanardi», aveva detto poco più di un mese fa – i tempi sono maturi. Nel Pd, per esempio, in molti hanno chiesto ad Enrico Letta di giustificare la scelta di schierare l’avvocatura dello Stato davanti alla Consulta a difesa della legge più carcerogena di questi tempi.

Basti pensare infatti che circa il 40% dei detenuti, 24.273 persone al 31 dicembre 2013 sono in carcere per violazione della legge incostituzionale. Mentre 8.657 sono in custodia cautelare e 59 internate, come risulta dalla relazione al Parlamento della ministra di Giustizia, Annamaria Cancellieri. Numeri più o meno stabili dal 2007 in poi: secondo i dati del Dap, il picco di detenuti per reati legati agli articoli 73 e 74 della legge si è avuto nel 2011, con 27.459 reclusi. Antigone però stima che attualmente i carcerati per detenzione personale di droghe leggere siano circa 10 mila.

Cosa succederà a questo esercito di persone? Secondo alcuni giuristi, come l’avvocato Michele Passione dell’Osservatorio carcere dell’Unione delle Camere penali italiane, non c’è nessun automatismo nell’esecuzione della sentenza della Consulta, ma i condannati in violazione della legge Fini-Giovanardi potrebbero chiedere il ricalcolo della pena con la normativa pre esistente. Non la pensa così l’avvocato Giovanni Maria Flick (vedi intervista in queste pagine). Un lavoro che ricadrebbe sulle spalle dei giudici dell’esecuzione, senza dover ricorrere a un nuovo dibattimento, ma che comunque intaserebbe ulteriormente i tribunali. Ecco perché i Radicali – e non solo – tornano a chiedere l’amnistia e l’indulto, «ora necessari più che mai».