Ha un titolo bellissimo la mostra di Fabio Sargentini alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Scorribanda è parola che dal gergo militare trasmigra nella vita quotidiana proprio per interrompere la monotonia e regalare – tramite rapide incursioni piratesche – nuove visioni. Così, nel salone centrale del museo si alternano a parete i «momenti» di un’attività corsara – quella della galleria l’Attico e del suo poliedrico performer – che ha attraversato sessant’anni, accerchiando l’immaginario senza soluzione di continuità. Sargentini afferma di aver voluto annullare la distanza tra le quaranta opere selezionate: ha schierato il suo esercito, puntando soprattutto su una sequenza temporale che abbraccia ampiamente gli anni 80 e che poco ritorna sui 60 e 70, archiviandoli nella soffitta della memoria collettiva. Casomai, su quel periodo tumultuoso e così teatrale, apre qualche finestra, niente di più.

Sono state a lungo raccontate e ormai sono leggendarie le presenze sceniche impreviste che animavano l’Attico: i cavalli di Kounellis, i bestiari giocosi a puntate di Pascali, la colata d’asfalto che rivestiva il pavimento di Mattiacci, lo Zodiaco vivente di De Dominicis, i 50mila litri d’acqua che allagarono il garage di via Beccaria nel ’76 prima del trasferimento in altra sede, a via del Paradiso… Fabio Sargentini ha deciso con questa mostra (visitabile fino al 4 marzo) di passare oltre e presentare invece combriccole inaspettate di artisti di diversa generazione, che serrano le fila uno dopo l’altro, in una occupazione temporanea delle pareti, con pura pittura e qualche scultura. Alcuni non hanno avuto grande eco mediatica né hanno conquistato il podio del mercato. Ma questo gallerista, regista e scrittore ha creduto in loro e gli vuole rendere omaggio: la mostra è una sua operazione seminale, il suo modo di guardare altrove.
L’Attico che tutti conoscono è assente però, non esiste alla Galleria nazionale. Niente foto (solo Patella) né souvenir vari di storiche performance: per quelle aveva provveduto il Macro, disotterrando le radici con la rassegna di qualche anno fa L’Attico di Fabio Sargentini 1966 –1978.

Rimane, invece, preziosissimo l’archivio che testimonia quella storia avventurosa. Sargentini l’ha donato per intero: circa 43 metri lineari di faldoni in tutto, uno dei più importanti tra i 17 fondi che si trovano lì (fra i quali Ojetti, Maraini, Irene Brin, Gaspero del Corso e l’Obelisco, 30 lettere acquerellate tra Giorgi e Sartorio, i materiali di gallerie come La Salita e Mara Coccia, l’archivio assolutamente unico di arti applicate del XX secolo), spiega Claudia Palma. La direttrice dell’archivio bioiconografico è felice anche di raccontare che qualcosa si sta muovendo in positivo nel settore, dopo molti anni bui, e che presto il patrimonio della Galleria nazionale sarà consultabile nel sistema Opac. Il fondo di Fabio Sargentini è già ordinato e parte dall’esordio, quando alla guida dell’Attico c’era pure il padre Bruno.