Il referendum sulla scuola di Bologna, con la vittoria dei cittadini a favore del non finanziamento alle scuole private, è una piccola grande vittoria del mondo della scuola. Ma non basta. Di fronte a ogni votazione pubblica, ci è stato insegnato che è importante la dichiarazione di sconfitta dell’avversario. Per la tenuta stessa della democrazia. Ebbene, questa dichiarazione non è ancora arrivata. Anzi, da parte di diverse personalità a favore del finanziamento alle scuole private, subito dopo i risultati del voto sono iniziati i se e i ma. Si è iniziato a dire che il referendum non era una cosa seria. Che era troppo ideologico. Che era sbagliato.
Che è stato un errore farlo. Che i risultati complicheranno le cose invece che migliorarle. Il Corriere della Sera scrive che «Bologna «snobba» il referendum», Repubblica parla di «vittoria zoppa». E si affrettano a ricordare che il referendum era consultivo: l’amministrazione bolognese può tenere in considerazione il risultato oppure no. Non solo: dice che hanno votato in pochi. Come «tentativo da parte della sinistra che lo ha promosso – Sel, grillini, Fiom e compagnia cantante – di scardinare il Pd che, sia a livello locale sia nazionale, naturalmente avrebbe assunto posizioni di responsabilità in un momento difficile per il paese». Che tristezza! È come se alla fine di una partita di calcio che si è persa, gli sconfitti dicessero: era una finta, non vale veramente.
È il segno della fragilità della nostra democrazia.
Ma non c’è da stupirsene più di tanto. In fondo ci sta che, chi bollava come «ideologico», «sbagliato» e «sorpassato» l’articolo 33 della propria Costituzione («scuole private senza oneri per lo Stato»), ora tenda a considerare «sbagliato» anche l’esito di un referendum popolare che non ha vinto.
Cosa succederà ora a Bologna? Stiamo a vedere. Certo è sicuro che bisogna vigilare. Perché abbiamo assistito a un piccolo grande risultato in grandissima parte inatteso, dove un’apparente minoranza di cittadini – che aveva contro la gran parte dei cosiddetti poteri forti: dalla Chiesa al Comune, dalla grande maggioranza dei partiti di centrodestra e centrosinistra, dal sindaco di Bologna del Pd che aveva mandato un’accorata e inusuale lettera a tutte le famiglie bolognesi per votare come pensava meglio lui – ha perso.
Ma quello che adesso, come prima dei risultati, preoccupa di più chi ha perso, è che questo referendum crea un precedente che in Italia non si era mai visto, abituati dal tempo dei tempi, con stratagemmi più o meno chiari, ad aggirare l’articolo 33 della Costituzione.
E se altri comitati di genitori, in altre città, arrivassero a chiedere un referendum popolare? E se qualcuno dovesse addirittura proporre un referendum del genere esteso a tutti i cittadini italiani? Dovesse cioé, come auspica il Nuovo comitato Articolo 33, «difendere la scuola pubblica con il proprio impegno e la propria partecipazione, per rilanciarla come una priorità della politica?» Senza voler più «lasciare fuori qualcuno dalla scuola pubblica» e lanciando un messaggio al Paese: «la scuola di tutti, laica e gratuita, è un bene comune e deve rimanere un diritto come sancito dalla nostra Costituzione». Non, per esempio, un servizio a pagamento o un’opportunità: ma un diritto?
È questo che spaventa. Che si metta in discussione, sulla scuola, uno status quo che da decenni un vasto schieramento di forze politiche ed economiche dava già per ampliamente e storicamente acquisito da decenni.
Spaventa che, magari, riprenda vigore un movimento di cittadini per la difesa dell’istruzione pubblica. Che, magari, troppa gente inizi a mettere in discussione l’ambigua politica scolastica messa in atto in oltre vent’anni, in continuità, da governi di centrodestra e centrosinistra.
Che, magari, si riapra un dibattito nazionale su come ad esempio si riforma la legge 62/2000, che introduceva i finanziamento pubblico per le scuole private. O come si ridà linfa vitale al sistema pubblico d’istruzione rifinanziandolo e ammodernandolo, ridefininendo la funzione dei saperi per la società.
E se invece i risultati di Bologna fossero veramente l’occasione per dare un segnale forte contro i continui tagli alla scuola pubblica e l’aumento dei fondi alle scuole paritarie private?
O forse in Italia non c’è urgente bisogno di rifinanziare e riqualificare la scuola pubblica? Quella che non fa distinzioni di censo, di religione, di provenienza? Quella dove le giovani cittadine e i giovani cittadini italiani ed europei imparano la convivenza nella diversità?