Un «piccolo Vajont»? Se mai, la nuova Tesero o la replica di troppe altre «fatalità» innaturali. L’acqua del torrente Lierza sabato sera dopo le 22 ha fatto girare a vuoto il Molinetto della Croda fino a travolgere come un vero tsunami la tradizionale «Festa degli uomini» allestita in riva. Quattro morti: Fabrizio Bortolin, 48 anni; Maurizio Lot, 52; Luciano Stella, 50, e Giannino Breda, 67. Una decina i feriti con tante altre persone terrorizzate. Gente che si è salvata a fatica dalla potenza d’urto della marea. Sopravvissuti fino a rifugiarsi per ore nelle trattorie della zona.
Ma nessun sasso è caduto nel bicchiere delle colline di Prosecco: l’acqua non è traboccata sulla tovaglia, come nella metafora di Dino Buzzati per la catastrofe del 9 ottobre 1963. Nell’Alta Marca piccola patria del governatore leghista Luca Zaia, la «natura crudele» meno di sei mesi fa aveva già reagito all’incuria umana con ben tre frane. E da queste parti non si sente nemmeno l’eco di una cronista di razza come Tina Merlin capace di sfidare il gigante Save dalle colonne dell’Unità: eppure al primo sopralluogo della Protezione civile dopo la catastrofe «affiorano» più di 50 smottamenti, frane, cedimenti strutturali dei pendii.
Dalla sagra paesana alla tragedia nazionale: il Comune di 1.804 anime si risveglia sotto i riflettori, mentre la Procura di Treviso apre un fascicolo d’inchiesta e il sindaco Loredana Colledel mette le mani avanti («La festa era privata: il Comune non ha responsabilità nell’organizzazione, ha solo rilasciato i permessi»).
Ma Carlo Rienzi, presidente del Codacons, firma un esposto sollecitando un’indagine per «concorso in strage». E da Giulio Marcon, deputato di Sel, arriva un esplicito richiamo alle responsabilità: «La tragedia non può che considerarsi annunciata. Già nel 2012 un evento pedissequo aveva portato alla luce il dissesto idrogeologico della zona con tutti i rischi che comporta».
Ritorna lo scenario del Veneto cannibalizzato dal «miracolo» degli interessi campanilistici. L’altra faccia del «sistema Mose», l’identica vocazione parassitaria dei poteri sussidiari all’urbanistica, lo spietato assalto del «ciclo del cemento» al territorio. Refrontolo incarna anche lo strabismo del Nord Est: serenissimo nel rivendicare un’identità di sicurezza, ma mai come ora terra di cataclismi «naturali» abitata dalla paura di «eventi imprevedibili». Qui i boschi si rivelano in abbandono, la campagna diventa capannone a cielo aperto, gli sbancamenti senza troppi scrupoli e le vigne come uno spietato investimento. Il Lierza si è difeso a modo suo: aveva già allagato il parcheggio del Molinetto, perché i detriti impedivano il deflusso; nonostante l’intervento del Genio civile, a valle si era poi formato un «tappo»; sabato sera nell’allegria della sagra il torrente è tracimato senza pietà.
L’intera Pedemontana sopravvive sicura delle proprie tradizioni, quanto esposta alle…naturali conseguenze di un ambiente che si fa straniero. Soligo è un altro corso d’acqua che ha smarrito l’alveo fra le sponde azzannate dall’uomo: con un temporale allaga Pieve e Solighetto. Così nelle celebrazioni del centenario Vittorio Veneto sperimenta un’altra «guerra», come Valdobbiadene fatica a brindare a Prosecco: le colline franano a Follina, Refrontolo, Tarzo, Cison di Valmarino, Farra.
Ma è tutto il Veneto a nutrirsi della stessa indifferenza bulimica, a nuotare in una «santabarbara d’acqua» e a trasportare il senso unico dell’economia in un territorio formato gruviera. Di più: opere mastodontiche o piccole impattano – fra laguna «mobile» e cornice delle montagne – sulle infiltrazioni malavitose spesso confinanti con l’inerzia della politica «grandi intese»…
Maggio 1990, Paolo Borsellino ammoniva la sala veneta che ancora non conosceva Tangentopoli: «Per quanto riguarda il rischio mafia, voi oggi in questa regione dovete preoccuparvi soprattutto della corruzione perché è l’anticamera della mafia. Il motivo è facile da capire: se un esponente delle organizzazioni mafiose va in cerca di punti di riferimento per riciclare o investire nell’economia legale capitali di origine illecita non può che rivolgersi a politici corrotti, cioè a persone cha hanno rivelato una certa inclinazione…». E un quarto di secolo dopo l’Osservatorio ambiente e legalità del Comune di Venezia ha prodotto un’inquietante mole di dossier sul Veneto cementificato anche con schei tutt’altro che cristallini, con la complicità di «colletti bianchi» insospettabili e con la rendita di posizione delle istituzioni. Tutto in rete e di dominio pubblico. Esattamente come la «radiografia» di Laura Fregolent dello Iuav sul consumo del suolo: dal 1970 al 2007 nell’area centrale del Veneto si conteggia un incremento di superficie urbanizzata da 33.387 metri quadri a 78.197. Nel distretto dell’abbigliamento di Montebelluna (Treviso) si traduce in una percentuale di cemento pari al 374%…
Fatalità? Replica Sergio Lironi di Legambiente: «Tra il 2002 ed il 2010 in Veneto si sono realizzati oltre 164 milioni di metri cubi di edifici commerciali, industriali e direzionali pur con una diffusa presenza in tutti i Comuni di capannoni inutilmente offerti in vendita o in affitto. Tra il 2000 ed il 2010 si sono ultimate 367.354 nuove abitazioni per una volumetria complessiva di oltre 148 milioni di mc. Un’offerta per una popolazione di quasi un milione di abitanti: più del doppio dell’incremento effettivo di popolazione registrato negli anni Duemila pari a 429.274 abitanti, incremento in larga misura dovuto alla nuova immigrazione». Ecco, forse, il lutto di Refrontolo esige finalmente la consapevolezza che la vecchia «locomotiva» del Veneto sta viaggiando lungo un binario morto. Per tutti.