Decine di avvocati ammessi come consulenti senza che fossero eseguite le procedure previste per legge. Il tutto grazie a curriculum farlocchi. Tra i destinatari, il 7 settembre scorso, di un avviso di garanzia dalla procura di Cosenza, tutti i componenti del management pro-tempore dell’Azienda sanitaria provinciale, dirigenti e liberi professionisti. Tra questi l’attuale direttore generale Gianfranco Scarpelli, Franco De Rose, che è stato commissario dell’azienda per circa un anno tra il 2010 e il 2011, e il precedente direttore generale Franco Petramala. L’Asp di Cosenza, sotto la lente della commissione di accesso per infiltrazioni mafiose nel 2013, si conferma una nebulosa di traffici poco chiari, un porto delle nebbie di favori, prebende e trame milionarie. Che varca l’Italia e sconfina all’estero. E i protagonisti sono sempre gli stessi.
La “sanitopoli” di Calabria ha spalle larghe e lunghe leve. È un’oliata architettura di sprechi e disfunzioni, di cinghie strette e tasche bucate, un vortice che si muove dagli Appennini verso le Alpi, scavalca frontiere e valica crinali. Lungo la direttrice Cosenza-Lugano solo andata si è inerpicata in questi anni una fitta ragnatela di transazioni, rinegoziazioni e arbitrati milionari. Un magma di sprechi, una torsione di politica, affari e massoneria, che ha impoverito il popolo per arricchire i soliti noti. Perché a queste latitudini ci sono due tipi di sanità. C’è quella disastrata, che ha cancellato una trentina di ospedali e fatto schizzare ai massimi storici l’emigrazione da ricovero, e le pratiche allegre della burocrazia colabrodo e compiacente, che ha agevolato strani flussi di danaro verso la patria del segreto bancario, dei conti correnti criptati e della fiscalità leggera, la Svizzera. L’Azienda sanitaria di Cosenza è ricca sfondata. Difficile da credere per chi frequenta ospedali e reparti sparsi sul territorio. A Cetraro, ad esempio, sul litorale tirrenico, nell’ospedale manca tutto: antibiotici, prodotti nutrizionali, guanti, cerotti, garze, carta igienica. Il colosso farmaceutico Roche ha persino disdettato la fornitura di farmaci oncologici: vanta crediti enormi nei confronti dell’Asp cosentina. Che stringe la cinghia sulle prestazioni sanitarie ma è di manica larga su lodi arbitrali e rimborsi extrabudget a cliniche private. Transazioni con interessi gonfiati e arbitrati che fanno impennare le spese legali e agevolano flussi milionari dalle casse pubbliche a quelle private. Un viaggio di soldi dall’Asp di Cosenza a una società schermata di Roveredo, nel canton Ticino.
I soldi pubblici della sanità sono finiti, dunque, in Svizzera, grazie a un contratto stipulato con una società finanziaria. La storia ha inizio nel 2005. La Sifin, assistita da Enzo Paolini, avvocato ma anche presidente dell’Aiop, il “re delle cliniche private” e uomo politico, con un passato nel Psi di Giacomo Mancini, un presente in Sel e un futuro – pare – sul carro di Matteo Renzi, ha fatto causa all’Asl di Paola per ottenere il pagamento di 17 milioni, effetto di un vecchio contenzioso tra l’Asp e le strutture private della costa tirrenica per prestazioni extrabudget. I giudici hanno dato ragione a Sifin anche perché, stranamente, l’Asp aveva riconosciuto il debito e a quella cifra, già molto pesante, si sono aggiunti altri 9 milioni di interessi per rivalutazione monetaria. Sifin ha stipulato successivamente una transazione con l’Asp rinunciando al 20% del credito e accontentandosi, si fa per dire, di 22 milioni. A firmare la transazione per conto dell’Asp è il già citato Palamara, il direttore generale. A questo punto Sifin, a sole 48 ore dall’accordo, ha ceduto parte del suo maxicredito alla Insitor Capital Sa, una società anonima con sede a Roveredo, in Svizzera. L’accordo prevedeva che Sifin cedesse alla società elvetica la somma corrispondente agli interessi maturati (9 milioni) e ne ricevesse in cambio 6. Alla fine del giro, iniziato 8 anni orsono, un fiume milionario è transitato, così, dalla sanità pubblica fino al canton Ticino, coperto dal segreto bancario e schermato da una società anonima. Un gioco di scatole cinesi che parte da Cosenza ed arriva sino in Svizzera. Con la trasparenza che va a farsi benedire. Ma non finisce qui.
Il denaro è transitato dall’Asp di Cosenza a Sifin per quasi un anno. Ma con le ultime tre rate, da tre milioni al mese, sono iniziate le difficoltà nei pagamenti. I vertici dell’Asp, guidati dal berlusconiano De Rose, si sono accordati con Paolini per rinegoziare il piano di pagamenti con un tasso di interessi superiore al 30%. A Sifin è andata di lusso. Potrà beneficiare di questo piano di pagamenti fino al prossimo febbraio. Riceverà le somme da Cosenza e le girerà in terra elvetica dove se ne perderanno inevitabilmente le tracce. Palamara, il direttore generale dell’Asp, il 21 febbraio scorso, è stato indagato per abuso d’ufficio e falso morale ed ideologico per rimborsi milionari erogati (e non dovuti) ad alcune case di cura accreditate negli anni duemila. Per quanto riguarda Paolini, il suo nome era già rimbalzato nelle cronache a proposito del meccanismo dei rimborsi extrabudget. L’ex senatrice Angela Napoli, in un’interrogazione parlamentare, aveva sollevato il caso.
Il sistema era collaudato. Nel corso degli anni le cliniche private non si sono mai risparmiate: hanno sempre fornito più prestazioni rispetto alle convenzioni, ricoveri ed esami extra. È il cosiddetto extrabudget, che ha dissanguato i bilanci. Tuttavia una serie di sentenze del Consiglio di Stato hanno messo fine alla questione: l’Asp non è tenuta a pagare per le quote non previste in convenzione. Ma a Cosenza le cose sono andate in ben altro modo. Alcune cliniche private hanno chiesto dal 2010 in poi all’Asp le somme dell’extrabudget, più robusti interessi. E l’Asp, anziché richiamarsi alla giurisprudenza, ha preferito scendere a patti con i privati. Affidando la risoluzione delle controversie a una serie di lodi arbitrali. Secondo Napoli il nome di Paolini ricorreva troppo spesso tra gli arbitri chiamati a risolvere le grane degli extrabudget: un grosso conflitto di interessi, visto che questi riceveva la parcella dell’Asp come arbitro e quella delle cliniche che difende, essendone tra l’altro il presidente. «I personaggi coinvolti in questa vicenda sono portatori di mostruosi conflitti di interesse – denuncia Delio Di Blasi della direzione Cgil – hanno costruito le loro fortune (anche economiche) su un sistema ben rodato, efficiente e che dura nel tempo, come deliberato dalla Corte dei Conti nel 2009. In un territorio piegato da un piano di rientro lacrime e sangue che paga l’addizionale regionale più alta d’Italia a fronte di servizi sempre più squalificati o inesistenti, questa vicenda assume i contorni del paradosso, in un clima di silenzio e disinteresse quasi generale».
Ma Paolini non è l’unico arbitro eccellente legato alla politica. Ci sono anche Nicola Abele e Nicola Gaetano, pezzi grossi del Pdl calabrese, vicini al senatore Tonino Gentile e a Peppe Scopelliti, presidente della Regione e commissario straordinario per il piano di rientro dal debito sanitario. Anche nel loro caso le parcelle sono extralarge. Così come gli interessi in ballo e i legami di alcune strutture sanitarie private con la politica. Intanto a Cetraro alla farmacia dell’ospedale mancano i medicinali per curare le lesioni da decubito. Mentre le consulenze agli amici degli amici sbocciano come funghi. La chiamano spending review. A senso unico.