In tutto il mondo, i registri di condoglianze delle ambasciate cubane si riempiono di messaggi commossi. Mazzi di rose rosse vengono sistemati all’ingresso, insieme alle bandiere dei movimenti, dei partiti, o ai messaggi dei singoli. C’è chi porta una rosa bianca, ricordando la poesia di José Marti, «Cultivo una rosa blanca». Versi sull’amicizia e la lealtà, usati da Obama il 21 marzo a Cuba per indicare la riapertura ufficiale delle relazioni.

UN MESSAGGIO a cui rispose il premio nazionale per la Letteratura Daniel Chavarria: «Anch’io, signor Obama – disse – coltivo una rosa bianca: per Cuba che soffre un blocco globale genocida, in violazione dei più elementari diritti umani. Per Cuba che patisce l’usurpazione illegale, immorale, ingiusta, e che il suo governo pretende infinita, di una parte del suo territorio nella baia di Guantanamo, dove lei mantiene una base navale inoperante in termini strategici e che viene usata come centro di tortura…».

FIDEL non incontrò Obama, che non andrà al funerale del leader, ma il giorno prima ricevette il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il cui paese è stato considerato da Obama «una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti» e per questo sottoposto a sanzioni. «Cultivo una rosa blanca»… La prima parola di omaggio pronunciata ieri da Maduro all’Avana è stata di gratitudine per «il grande amico» scomparso. «Fidel no se ha ido», gridano i movimenti venezuelani, ha impresso la sua orma indelebile nel solco dei libertadores, unita a quella di Hugo Chavez: «el amigo» di cui Fidel ha pianto la scomparsa, sulle note del cantautore cubano Raul Torres, dedicate a Chavez il 5 marzo del 2013.

L’IMPRONTA di Fidel – e del Che – in America latina ha determinato il corso delle principali guerriglie che cercavano un esito simile a quello della rivoluzione cubana. La prima fu quella che si sviluppò in Venezuela. E per evitare che «il pericolo rosso» si estendesse nel continente, Washington innescò una guerra senza quartiere, dal Guatemala all’Honduras. Stroncò la primavera allendista, in Cile, nel 1973 e il Piano Condor impose la sua ombra di morte insieme alle dittature del Cono Sur.Castro s’impegnò a fondo per sostenere Allende e appoggiò tutte le occasioni che avrebbero potuto consentire a Cuba di non essere più sola nel continente. E sostenne la rivoluzione sandinista, consigliando fino all’ultimo Daniel Ortega. «Il sangue dei cubani ha seminato in tutto il Continente» – ha detto Fidel a Ramonet nell’Autobiografia a due voci. L’eredità di Fidel – ha ricordato il giovane Elian (ex bambino conteso tra Miami e l’Avana, riscattato da Fidel nel 2000), è in ogni latinoamericano che ha riacquistato la vista a Cuba, in ogni studente che si laurea gratuitamente, in ogni persona che ha sconfitto l’ebola grazie ai medici cubani. Fidel è presente in ogni processo di pace, come quello in corso in Colombia, che deve tutto a Cuba e al Venezuela.

TUTTO QUESTO hanno ricordato i movimenti in tutto il mondo, unendo il ricordo alla lotta. In Brasile, insieme alle bandiere dei Sem Terra, in piazza al grido di «Fora Temer», c’erano quelle cubane e cartelli che dicevano: Fidel vive.

MOLTE DELEGAZIONi dei movimenti e delle sinistre latinoamericane, e anche europee si sono recate a Cuba per i funerali. Dall’Italia, ha mandato delegati l’Associazione di amicizia Italia-Cuba, mentre molti dirigenti di partiti e associazioni hanno espresso cordoglio. Per Fidel, si sono visti striscioni allo stadio, del Pisa e del Livorno. A Livorno, il sindaco Filippo Nogarin ha autorizzato un registro per le condoglianze, e altri comuni hanno organizzato carovane per andarlo a firmare.

Dal nord al sud d’Italia, centri sociali e movimenti hanno dedicato una parte delle iniziative al ricordo di Fidel e al sostegno di Cuba. Venerdì, a Roma, al Casale Alba 2 alle 18 (parco di Aguzzano), si discuterà di Cuba e Venezuela, e del ritorno in forze delle destre nel continente. All’Avana, in questi giorni è arrivato il primo volo commerciale dagli Stati uniti, ma le dichiarazioni di Trump – a cui ha risposto per le rime il presidente boliviano Evo Morales, dandogli dell’«ignorante» -, non promettono niente di buono.