Se il Palazzo è uno specchio fedele del Paese che dovrebbe rappresentare, e spesso lo è, ci sono due Italie. Quella che sta con Trump e con la rappresaglia di ieri, incarnata soprattutto dal governo e dal Pd con toni forse più convinti di quanto non siano intimamente, e quella che, per motivi diversi, denuncia l’attacco come un errore o peggio una follia. L’aspetto singolare è che nel secondo plotone figurano quasi tutti i partiti e movimenti che avevano sin qui plaudito all’elezione dell’outsider americano, come la Lega e M5S, mentre tra gli entusiasti ci sono quelli che avevano sin qui visto il successore di Obama più o meno come un usurpatore.

Paolo Gentiloni, commentando tra i primi il raid notturno, è parco di parole ma non pecca di ambiguità: il suo è, o forse sembra, uno schieramento a favore degli Usa senza un briciolo di dubbio. Non è la posizione solo dell’Italia ma dell’Europa. Quando pronuncia il suo commento il premier italiano ha già parlato al telefono con Hollande e Merkel e la decisione è secca: appoggiare Trump senza neppure chiedersi se l’azione sia stata davvero opportuna o se sia proprio certo che l’attacco chimico è partito da Damasco. «L’azione – scandisce il capo del governo italiano – è una risposta motivata a un crimine di guerra». Il ministro degli Esteri Alfano farà eco poco dopo: «L’Italia comprende le ragioni dell’azione militare».

La preoccupazione tuttavia trapela, tra le righe delle bellicose parole dei governanti italiani come del resto in quelle degli omologhi europei. Preoccupazione per un’escalation dagli esiti imprevedibili, quella che indica l’ex ministro degli Esteri D’Alema aggiungendo però con qualche ottimismo che forse proprio la situazione a rischio potrebbe schiudere le porte alla ripresa delle trattative. Ma preoccupazione anche per un quadro che mette l’Europa all’angolo, neppure comprimaria ma semplice spettatrice in un «grande gioco» che riguarda solo le due ex superpotenze del XX secolo e quelle locali del Medio Oriente. Il rischio è quello e il più esplicito nel coglierlo è Renzi: «L’Europa deve uscire dal letargo. Non può essere una partita solo tra America e Russia».

Ecco quindi Gentiloni accompagnare i toni bellicosi con il pronunciamento, quello sì davvero convinto a favore di «una soluzione duratura che siamo convinti vada cercata nel negoziato», ovviamente con il decisivo «contributo» dell’Europa. Ed ecco anche il Pd, da Fassino al ministro e candidato segretario Orlando, passare dai toni d’ordinanza di solidarietà con i Tomahawk del mattino alle parole più misurate e riflessive della sera: «Si spera che rimanga un episodio isolato. L’Europa può ora prendere l’iniziativa, aprire corridoi umanitari, riprendere la via del negoziato», dice il guardasigilli.

A sinistra del Pd, le critiche di Sinistra italiana, come quelle di Emergency, sono immediate e acuminate. «Gentiloni ricordi che la Costituzione italiana ripudia la guerra e l’Italia non conceda basi militari», attacca Fratoianni. Più smussate, ma non troppo, le posizioni degli ex Pd oggi Mdp. «L’azione Usa rischia di provocare una nuova escalation. Pensare a una soluzione che prescinda dalla Russia è una pericolosa illusione», sostiene D’Attorre. Il nuovo segretario di Rifondazione, Maurizio Acerbo, invece è tassativo: «L’attacco è terrorismo internazionale».

Sia per M5S che per il Carroccio non ci sono dubbi di sorta. Di Battista risponde a Gentiloni: «Parole sconvolgenti, è un vassallo Usa. Si pensa ancora che per cancellare bombe e morti servano altre bombe e altri morti». Salvini non nasconde la delusione: «Sono contento che Trump abbia vinto, ma se fa una cazzata devo dirlo». Ma lo scontro tra i due principali punti di riferimento internazionali non fa certo contenti M5S e Lega, così come un fronteggiamento muscolare che rivela brutalmente l’inconsistenza internazionale dell’Europa non fa piacere a chi ieri ha applaudito Trump. Forse, dietro le prese di posizioni di rito, i missili di ieri non sono piaciuti davvero a nessuno.