Il Next Generation Eu si è saldamente installato al centro del dibattito politico; vissuto dagli uni come la panacea europeista per tutti i mali del Belpaese, dagli altri come l’ennesimo strumento di controllo al servizio delle oligarchie, tutti comunque ne parlano, piccandosi di dire la loro.

Visto alla luce delle strategie comunitarie di lungo periodo, i suoi obiettivi e finalità risultano meglio comprensibili, sottraendosi all’immagine di cosa spuntata in maniera improvvisa come un fungo.

Ma soprattutto si capisce meglio di che natura sia l’assetto della strategia globale della UE in cui i soldi del cd. Recovery sono inseriti.

Il 19 gennaio scorso la Commissione ha divulgato un documento di posizionamento politico in merito alla sua strategia in merito a «Il sistema economico e finanziario europeo». In esso vengono strettamente associati la centralità del green, la promozione dell’euro come valuta globale, la finanza «sostenibile».

Ecologismo e mercati finanziari, un connubio abbastanza improbabile.

Viene citato un altro documento di grande importanza, del 24 settembre 2020, riguardante una delle punte di diamante della integrazione europea nell’ultima fase: la unione del mercato dei capitali. Si tratta dell’aggiornamento di un piano di azione risalente al 2015 e che ha visto un primo aggiornamento nel 2017, la cui finalità è di abbattere le residue barriere per gli investimenti intra-Ue.

La ripresa dalla crisi innescata dal covid, si argomenta, avrà bisogno di ingenti finanziamenti, che non potranno essere tutti pubblici.

La soluzione – già presente nelle versioni precedenti di tale disegno ma adesso motivata come importante fattore per nutrire la ripresa economica dopo la botta del 2020 – è movimentare i risparmi dei singoli e delle famiglie a favore delle imprese, per gli obiettivi ambientali, per le pensioni basate sul mercato (sic!).

Per tali obiettivi vengono elencate 16 azioni fondamentali, dall’inserire l’educazione finanziaria a scuola a potenziare il ruolo dei consulenti privati per il risparmio, dalla semplificazione delle norme per la quotazione in borsa delle imprese alla modifica delle regole di governance societaria per permettere un maggiore controllo ai piccoli investitori – – sperando che ci mettano i soldi più volentieri.

E spunta anche la riproposizione delle vecchie cartolarizzazioni (ma stavolta «verdi») : i prodotti finanziari che assemblano pezzetti di attività diverse, il cui ruolo per la crisi del 2007-08 è stato decisivo.

Il fine fondamentale, esplicitamente enunciato, è la promozione del ruolo dell’euro nelle transazioni internazionali come force de frappe comunitaria – e come fattore di profitto delle banche europee.

Nulla di nuovo quindi? In parte sì.

Il consueto armamentario della finanziarizzazione viene riverniciato di verde, e gli obiettivi ecologici sono funzionalizzati ad intercettare il consenso da essi goduto nei paesi dell’Unione – dove, lo ricordiamo, la sensibilità ambientale è molto più forte che negli altri campioni della competizione mondiale, ed in cui i Verdi potrebbero esprimere il prossimo Cancelliere della Germania – per rendere ogni cittadino un piccolo investitore.

Quanto di tale strategia possa effettivamente andare a favore dell’ambiente è molto dubbio; in parte per il fatto di essere legata strettamente all’incremento della digitalizzazione, che non è certo un settore poco impattante.

Ma poi c’è da chiedersi che impatto possa avere una anarchica serie di prodotti e progetti verdi in assenza di una orchestrazione e una pianificazione pubblica – di necessità conflittuale con i poteri dominanti di mercato, e non subordinata ad essi.