Dalla piazza del Municipio, il quartiere la Venezia è a un tiro di schioppo: basta girare l’angolo per immergersi in un budello di ponticelli, canali e palazzi d’epoca, un po’ fatiscenti, forse per questo ancor più spettacolari nella luce tagliente di una domenica di giugno. Viola Barbara ci fa da guida nel tour dedicato alla street art; fa parte del gruppo delle uovas, come scherzosamente sono chiamate in città: la grafica Giulia Bernini, in arte Oblò Creature, la pittrice Libera Capezzone, in arte Libertà, e l’architetto Valeria Aretusi. Tre anni fa hanno aperto Uovo alla pop, la galleria che ha gettato le basi per una vera e propria esplosione di colore e di senso sui muri della città toscana. Dopo il tour abbiamo conversato con lei cercando di far luce sulla differenza tra arte di strada e arte pubblica e di riflettere sul lavoro della loro galleria.

Uovo alla pop è nato all’interno del progetto di rivalorizzazione socio economica del quartiere storico Garibaldi. Il progetto si è purtroppo lentamente spento, ma voi siete sopravvissute, in un contesto dove non era così scontato essere intese e gradite. Quali sono oggi i vostri rapporti con il pubblico e con le istituzioni?
Tre anni fa abbiamo vinto un bando regionale e un piccolo garage di quelli affacciati sulla piazza Garibaldi: abbiamo preso in prestito il concetto dell’uovo dalla cosmogonia indiana, nonché dal cattolicesimo, e abbiamo invitato 40 artisti a interpretare questo simbolo. Cercavamo una rinascita, lavoravamo con l’obiettivo di far risorgere il quartiere. In quei giorni le strade affollate di artisti hanno tolto lo spazio allo spaccio, le iniziative, sempre molto partecipate, hanno sbiadito il volto drammatico di quella realtà; seppur breve, quello è stato un periodo in cui si sono registrati un numero minore di fatti violenti, molestie e arresti nella piazza. Ci sarebbe stato bisogno di un progetto più ampio. Il nostro affitto è stato gratuito solo per il primo anno; poi, non potendo sostenerlo da sole ci siamo spostate di pochi metri, rione Pontino, sul canale, con vista alla Fortezza Nuova: abbiamo spazio per uno studio, la galleria e un coworking. Con la nuova amministrazione non ci siamo confrontate ma mentre l’ufficio cultura era impegnato con la grande mostra per i 100 anni dalla morte di Amedeo Modigliani, ci siamo inventate un tour dedicato, condito da un pizzico di realtà aumentata. Recentemente abbiamo ripreso il dialogo: siamo tra gli artisti che hanno attaccato grandi stampe negli spazi per le affissioni rimasti vuoti in una bella piazza alberata (piazza della Vittoria) alla vigilia della fase 3. Una mossa al margine dell’illegalità che però ha attratto la loro attenzione.

Portare la street art in galleria è stata la naturale evoluzione del vostro lavoro: avete intercettato un gusto o cavalcato un vostro interesse?
All’inizio si è trattato di un interesse proprio, ma esiste un’archeologia della street art in città: iniziò Riccardo Bargellini dell’Atelier Blu Cammello, con le Serate Illuminate, chiamando Blu, Ericailcane, Dem, Run a intervenire sul circolo di Shangay, altro quartiere «a rischio»; va ricordata la figura geniale di Zeb, writer cittadino scomparso in circostanze misteriose nel 2008, che da vent’anni «parlava coi muri»- come recita una sua scritta. Abbiamo iniziato nel 2013 con un pesce di 26 metri sul tetto del mercato del pesce, che si vede entrando in città dal porto e via terra, da nord. Il pesce è di Libertà (Libera Capezzone, di Uovo alla pop), la didascalia poetica è mia: è un intervento precedente all’apertura della galleria. Volevamo abituare la città a un nuovo linguaggio. Ci sembrava che la street fosse un’arte accogliente come la città, canali o strade, poco importa. Un’arte polifonica, come la nostra lingua antica, il bagitto. Il percorso sarebbe andato dal tag al visivo: Livorno era un deserto fertile. I suoi scorci abbandonati, angoli che somigliano a quelli di Genova, Marsiglia, o Napoli e la libertà un po’ anarchica che si respira nell’aria ci avrebbero favorito… Le cose sono molto più complesse: i muri vicino al mare sono intoccabili, per quelli comunali bisogna chiedere un permesso (che per fortuna per ora ci è stato sempre accordato), se sono privati la burocrazia non è di certo più snella, perché si tratta di convincere i condomini. Per cui siamo noi della galleria che mediamo l’intervento sul muro.

Attraverso bandi e inviti chiamate in città artisti importanti: da una parte espongono in galleria, dall’altra regalano un muro alla città. Addirittura gli artisti intervengono su lavori precedenti di altri colleghi. Inizia ad esistere una scena livornese?
Esiste e probabilmente parte da Firenze con Clet, l’artista delle insegne stradali, una figura autonoma e adulta della famiglia fiorentina, il padre, per esperienza, età e fama, della nuova generazione. Poi c’è Exit Enter che ha presentato Pupo Bibbito e James Boy, i quali in amichevole competizione sono intervenuti sui suoi lavori. È un po’ è una sfida scherzosa, un po’ è per praticità: fare un grande muro vuol dire integrare e quasi mai coprire il lavoro degli altri, a meno che non sia deteriorato. Siamo in strada, e vale la legge della strada: se tendessimo a conservare tutto sarebbe meglio stare dentro ai musei. Anche qua ci sono stati casi di murales finanziati e spregiati poco dopo, ma fa parte del gioco, è un’arte che viene naturalmente disturbata: la tua tela è alla portata di tutti.

Come ci si orienta nella selva di espressioni della strada tra tag, stencil, writing, e walls?
Non ci si orienta: è davvero una selva. Credo però che il tag sia una forma di firma che ricalca una volontà primitiva basica: si scrive il proprio nome per lasciare una traccia. I nostri ultimi ospiti (James boy e Pupo) erano felici e compiaciuti di riconoscere in giro per la città tag noti. Come galleria puntiamo al visivo; se leggo vorrei leggere un contenuto, un messaggio, però è anche vero che la maggior parte degli artisti inizia dal writing.

A proposito di contenuti, inaugura oggi nel vostro spazio la collettiva «Nature has Nature». Può parlarcene?
Sì, è una tappa importantissima che segna la conclusione di una fase molto produttiva. La natura si impossessata di sé stessa con il virus, durante il lockdown. La street art si è fermata, il coprifuoco ha svuotato le strade e gli artisti stessi non sono usciti. Si è consolidata la street art virtuale, figlia della fama che gli artisti trovano su social come Instagram. Uovo alla pop crea due mostre di street art virtuale; la prima è stata Tomorrow’s wall, dove gli artisti hanno offerto spontaneamente le loro opere, partecipando a un’asta virtuale di beneficenza i cui proventi sono andati alla Terapia Intensiva dell’Ospedale di Livorno per l’acquisto di un respiratore. Nature has Nature è un rilancio su invito: abbiamo chiesto a 32 artisti di inviarci l’immagine della loro opera sul tema «cosa starà facendo la natura senza di te?». Abbiamo stampato 20 copie fine art certificate dagli artisti, che venderemo a un prezzo molto accessibile prima dell’inaugurazione (prevista per stasera, ndr) durante la quale l’artista presenterà la propria opera reale, venendo a Livorno anche per scegliere, eventualmente, un muro. Ognuna di noi ha proposto una manciata di artisti, ma siamo tutte d’accordo quando ci confrontiamo. Ci saranno le nostre artiste residenti (Libertà, Oblò Creature), artisti nostrani come Valentina Restivo, Francesco Ripoli, Rotondi Michael Rotondi, Nicola Buttari, Martino Chiti, i nostri vecchi amici, come Barbara Oizmud, Blub L’arte sa nuotare, Exit Enter, Clet, Ligama, Ache77, Urbansolid Art e molti ancora. L’accesso avverrà per 5 visitatori alla volta e gli altri attenderanno in via Pellettier, dove è nato Piero Ciampi al quale era stato dedicato un murales da Alex Laben: purtroppo i condomini sono venuti a chiederci di coprirlo fornendoci addirittura il codice della vernice…la strada è sempre lunga.