Tra gli effetti di questi mesi di lockdown si prospetta una grave crisi fiscale dei Comuni. A lanciare l’allarme è il sindaco di Bari e presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che ha denunciato la perdita di ingenti risorse. Nei mesi di marzo e aprile, gli ottomila Comuni italiani hanno incassato mediamente il 65 per cento in meno rispetto agli stessi mesi del 2019: da 2,5 miliardi di euro si è passati a 867 milioni.

Si tratta di dati documentati da uno studio di Demoskopika. Da Imu, tassa dei rifiuti, addizionale Irpef, tassa di occupazione di suolo pubblico sono venuti a mancare più di 1,6 miliardi di euro. Gli interventi del governo, con gli ultimi decreti, non bastano a compensare le perdite subite, col rischio concreto che molti Comuni, soprattutto del Sud, non siano in grado di garantire importanti servizi essenziali.

Stanno venendo, dunque, allo scoperto le bugie e la demagogia che hanno accompagnato alcune riforme della fiscalità locale avvenute nell’ultimo decennio. Mi riferisco, innanzitutto, all’Imu, l’imposta che più caratterizza l’autonomia impositiva degli enti locali. Averla abolita per tutte le prime case ha comportato per le casse comunali la perdita di circa 4 miliardi di euro all’anno. Sarebbe bastato, con un po’ di buon senso, mantenere l’Imu per i proprietari più abbienti per evitare un conflitto, ormai quasi perenne, tra Stato e istituzioni locali.

C’è da aggiungere, inoltre, che la totale abolizione dell’Imu sulla prima casa manca di equità non solo in quanto è estesa ad una platea vasta di proprietari che, in base al reddito, avrebbe potuto permettersi il pagamento dell’imposta, ma anche perché la riduzione della pressione fiscale su un bene patrimoniale, che per definizione esclude dal beneficio chi non lo possiede, non ha certamente una valenza redistributiva.

L’esperienza di questi anni ci ha mostrato, inoltre, i guasti prodotti da questa scelta. I Comuni sono stati spinti a comportamenti poco virtuosi, per non dire miopi, pur di incassare altri proventi, per esempio tramite gli oneri di urbanizzazione. Quante concessioni edilizie e quanti programmi di trasformazione urbana si sono rilevati un grande affare per i grandi gruppi immobiliari ma non per le comunità locali. Non è un caso che l’incremento dei valori delle grandi aree urbane sia cresciuto in modo esponenziale e, con esso, i guadagni della rendita.

Una radicale riforma dell’autonomia impositiva dei Comuni, in questo contesto, rappresenta, da un lato, una delle condizioni principali per regolare un mercato che oggi risponde unicamente agli interessi della speculazione edilizia e della rendita urbana, dall’altro, l’occasione per rilanciare politiche coerenti di sviluppo delle nostre città all’insegna della solidarietà, della sicurezza e dell’efficienza dei servizi.

Al centro della riforma deve esserci il Catasto e il suo effettivo decentramento, finora realizzato solo parzialmente. Una gestione decentrata del Catasto, che affidi ai Comuni compiti, responsabilità e strumenti nuovi, dovrebbe coerentemente attribuire loro anche i tributi di riferimento (per un ammontare che, tra imposte catastali, ipotecarie, di registro, supera i 7 miliardi di euro ogni anno) oggi incassati unicamente dallo Stato.

I Comuni potrebbero così risolvere l’anomalia per cui, allo stato attuale, rispetto alla dimensione gigantesca degli affari immobiliari sul proprio territorio, non vi è alcuna ricaduta in termini di entrate locali. Inoltre, un uso flessibile delle aliquote massime e minime dell’Imu (su seconde case, grossi patrimoni, immobili a uso terziario), soprattutto in presenza della rivalutazione degli estimi catastali, potrebbe contribuire ad una redistribuzione più equa del carico fiscale sugli immobili oltre che incoraggiare comportamenti virtuosi nel mercato dell’affitto.

I Comuni avrebbero infine strumenti adeguati sia nell’azione di contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale molto diffuse in campo immobiliare sia nell’intercettare, tramite una nuova Invim, le plusvalenze derivanti dai processi di rinnovo urbano e dalle conseguenti transazioni immobiliari (ricchezza che sfugge quasi totalmente al fisco). Solo così, attraverso il controllo fiscale del proprio territorio, i Comuni potranno finalmente riappropriarsi di una vera autonomia politica.