La conferenza stampa del movimento 5 stelle sul «reddito di cittadinanza» era attesa alla Camera mercoledì scorso, ma nel pomeriggio di martedì se n’erano perse le tracce. Benché annunciato nelle ore della polemica con il vice-ministro all’economia Stefano Fassina (che accusa i 5 Stelle di fare «demagogia» per il calcolo dei 30 miliardi di euro (lordi) necessari a garantire a quasi 10 milioni di persone un reddito di 600 euro), l’incontro non si è tenuto a causa di un intervento di Gianroberto Casaleggio. Un’indiscrezione, non smentita, dell’Adnkronos sostiene che il cofondatore del M5S vuole che il «reddito di cittadinanza» corrisponda ai mille euro promessi in campagna elettorale. Nelle varie versioni offerte da Grillo il sussidio dovrebbe durare per tre anni, condizionato da una serie incalzante di obblighi all’accettazione del lavoro che restano anche nella proposta di legge composta da 19 articoli e due allegati che attualmente è in discussione tra gli iscritti certificati al movimento su una piattaforma online. I deputati 5 stelle definiscono quella sul reddito minimo la loro «battaglia per eccellenza», ma evidentemente in questo mondo esistono frizioni con il vertice e la base. Casaleggio vuole infatti che il «reddito di cittadinanza», ad oggi un modesto «reddito minimo», assomigli a quello che si percepisce oggi solo in Alaska (e in parte in Namibia), la base sembra invece vedere in questo reddito l’invito a diventare tutti «fannulloni», scatenando la rabbia contro gli opportunisti che vogliono i soldi, ma non vogliono lavorare. I parlamentari 5 stelle si trovano tra due fuochi e, anche se lo ammettono con difficoltà, iniziano a impratichirsi con la prassi parlamentare. In aula, infatti, Nichi Vendola di Sel e Felice Casson e altri promotori Pd di una legge sulla reddito minimo non escludono un rimescolamento di carte. Nella stessa proposta pentastellare risuonano dettagli simili a quella presentata da Sel. Se questa è la partita interna ai 5 Stelle, l’istituzione del reddito minimo implicherebbe una revisione radicale di una parte sostanziosa degli attuali ammortizzatori sociali. A partire dalla cassa integrazione in deroga per la quale il governo ha finora stanziato 2,5 miliardi di euro e si è impegnato a stanziare altri 330 milioni per il 2013.