Abitiamo «comunità immaginate» che si definiscono per meccanismi di inclusione e di espulsione. Lo ha spiegato magistralmente Benedict Anderson in un saggio pubblicato lo stesso anno in cui Eric Hobsbawm faceva uscire il suo studio sull’invenzione della tradizione. Il corpo civico dei cristiani, che delle religioni politiche è stato il modello, si è costituito nei secoli attraverso un percorso analogo di costruzione discorsiva. Ne ha indagato le origini Emiliano Rubens Urciuoli in  Un’archeologia del ’noi’ cristiano. Le ’comunità immaginate’ dei seguaci di Gesù (Ledizioni). La premessa di questo studio è che Gesù non sia stato il fondatore di una nuova religione, ma il promotore di un rinnovamento interno al giudaismo che solo successivamente avrebbe portato alla nascita dei cristianesimi. La tesi di partenza, debitrice delle indagini di Mauro Pesce, è che il cosiddetto «cristianesimo delle origini» sia un mito costruito a uso e consumo degli «agenti» del nascente «campo religioso» cristiano a partire dal I secolo.

Questi diversi attori volevano «instaurare un’altra polis alternativa a quella esistente e garante della sua incombente dissoluzione cosmica». Sarebbe stato proprio il prolungarsi dell’attesa della parusia – spiega Urciuoli – a costringere i «cristiani» a mettere in campo strategie di gestione dello «stato di eccezione» che hanno definito un corpo culturale e religioso. Il primo passo era ovviamente immaginare un uomo nuovo. Nella ricostruzione proposta dall’autore il ruolo di protagonista spetta a Paolo di Tarso. È lui ad avanzare per primo l’idea del cristiano come una «nuova creatura», prodotto di quella «seconda creazione» inaugurata dalla morte del Cristo in croce. In gioco, era la partita per estendere la via della salvezza al di fuori del campo dei circoncisi, ma l’autore evidenzia come la scelta di «cristianizzare» la nozione di umanità dipendesse anche dal bisogno di distinguersi dalle antropologie e dalle teologie altrui. Contro lo gnosticismo, per esempio nel caso di Tertulliano. Per differenziarsi dai pagani, nel caso del «barbaro» Taziano, che si definisce tale perché professa una religione ritenuta barbara dai greci. Per il «vero Israele» in quello di Giustino.

Nel Dialogo con Trifone, l’apologeta cristiano descrive una nuova etnia riconducibile, tramite una precisa linea patriarcale (Giuda, Giacobbe, Isacco), allo stesso capostipite del popolo ebraico (Abramo). A questo proposito, Urciuoli ricorda come la capacità di assorbire, scomporre e annodare discorsivamente elementi culturali di diversa provenienza abbia costituto una delle ragioni della «vittoria» storica del cristianesimo. Anche per questo motivo, verrà rifiutata l’etichetta di tertiumgenus, con la quale i pagani erano soliti definire la comunità dei seguaci di Gesù: terzi dopo i romani e i giudei. Secondo Tertulliano, al contrario, erano semmai i primi, in virtù dell’adesione della loro anima a Dio: «concittadini dei santi e familiari di Dio». Ma qual era la loro città? Sul paradosso civico dei cristiani, il cui ordinamento è nei cieli, sono state riempite biblioteche di studi di storia politica. L’autore vuole capire in che modo la cittadinanza cristiana sia stata declinata sul piano temporale, di fronte a un mondo che c’era già e in attesa di quello che doveva ancora venire.

Si trovano qui le basi della formazione di un’etica civile dei cristiani, chiamati a vivere sulla terra «come se» lo iato tra maturazione del diritto al Regno dei cieli e il suo compiuto godimento fosse già stato colmato. Il risultato sarà una religione fortemente coinvolta nel tempo presente, a cui i cristiani «partecipano attivamente come cittadini, ma assistendo passivamente come stranieri» (Lettera a Diogneto). Scrive Urciuoli: «le chiese cristiane si aprono allo spazio esterno senza cessare di esercitare la propria contestazione; si aprono e vi entrano senza farlo entrare e senza cessare così di esistere in quanto luoghi assolutamente altri». Il seguace di Gesù non si occupa semplicemente del mondo, ma lo occupa. Nella formazione del discorso e della comunità immaginata dai suoi aderenti si possono scorgere le ragioni del successo di questa nascente religione. Il merito principale della ricerca è farci vedere, attraverso le chiavi di lettura dell’archeologia del sapere, come tutti gli elementi decisivi fossero già a disposizione, almeno un secolo prima della conversione di Costantino.