Sono radice è un’antologia edita dal piccolo, operoso editore Bonaccorso e raccoglie poesie in più lingue, scritte da dieci donne e un uomo: autrici italiane, dal Marocco, dalla Germania, dalla Bulgaria, dal Brasile, dall’Istria, dal Messico e un autore dalla Serbia (pp. 202, euro 13, prefazione Chiara Zamboni). Il gruppo, in parte stabile a Verona, s’è denominato Poesia dal mondo e ha portato avanti un laboratorio poetico in città, a Casa di Ramia.

Che luogo è questo? Casa di Ramia è un luogo d’incontro tra cittadine veronesi e donne migranti, reso possibile dal comune di Verona – Assessorato alle culture delle differenze. Il nome di questa dimora si ispira a un tipo di orchidea bianca da cui si ottiene una fibra tessile. Sì, Casa di Ramia privilegia la capacità di tessere relazioni. Qui culture e lingue d’origine si aprono in nuovi intrecci e narrazioni sorprendenti.

Casa di Ramia è gestita in coprogettazione con l’Associazione Ishtar che partecipa alla gestione delle attività: qui, a Casa di Ramia, trovate donne, uomini, bambini. Trovate giochi dal mondo, riviste, giornali, libri in varie lingue, trovate arredi, stoffe, ricette. Qui si avviano corsi di lingue, qui s’impara l’italiano. Qui s’incontrano associazioni operanti in città. E qui il gruppo di Poesia dal mondo ha portato avanti il suo laboratorio fino alla pubblicazione di questa antologia, Sono radice. Tematica forte, dichiarazione esistenziale oltre che poetica, cui contribuiscono Maria Livia Alga, Stella Cernecca, Maria Grazia Chinato, María Josè Gil Mendoza, Irmgard Victoria Hartung, Claudia Iglesias Galván, Elisabeth Lisa Jankowski, Najat Rezki, Marina Ribaudo, Mercedes Spada e Zivoslav Miloradovic.
La loro scrittura è sintesi di singolarità esistenziale e di scambio relazionale. Noi l’abbiamo imparato a scuola: «ciascuno sta solo sul cuor della terra». Qualunque sia il paese, il cuore della terra è il punto in cui ora siamo ma è anche là, alle nostre spalle, dove siamo nati, ed è anche là, all’orizzonte, dove vorremmo andare. Chi, dal punto in cui è, tra altri, s’incammina verso quel linguaggio chiamato poesia, sta forse emergendo da una solitudine, ed entra, forse, in un umanissimo miracolo. Il miracolo della poesia è che come un fiume nel suo alveo scorre ostinatamente sotto ogni lingua. Anche se il punto della terra in cui siamo è lontanissimo da ciò che un tempo chiamammo casa, con poesia si può avanzare con la parola al fianco.

È così che la lingua parlata in casa, sul nascere, riprende a scorrere nel solco di una lingua appresa da grandi, altrove. È così che la parola si getta avanti come un ponte e, dove c’era un vuoto, crea un passaggio. Ed è così che anche le italiane del laboratorio di Poesia dal mondo hanno fatto esperienza d’un salto fantastico tra le lingue, dentro a un’umana intesa, ben oltre il piano della comunicazione d’uso.

Sono radice riporta poesie in lingua originale e tradotte. In alcune assistiamo al passaggio da una lingua all’altra. Lo spagnolo, l’arabo, il tedesco, l’italiano. Il serbo-croato. Senti echi di lingue slave, di dialetti veneti… Trovi l’alfabeto latino, il cirillico. Di che radice parliamo? Il titolo parla chiaro: si tratta d’una radice che ha a che fare con l’essere, non con l’avere, non punta a un territorio. Accosta mondi vicini e lontani. Unisce mondi esterni e mondi interni, quelli che non trovi sull’atlante, quelli più oscuri, e chissà che lingua si parla lì.

Il verso che dà il titolo all’antologia è tratto da una poesia di Irmgard Victoria Hartung, nata nella non lontanissima Franconia. «Sono radice. Ho tenuto l’albero mio / fermo nel suolo». L’albero è fermo. Mentre il tempo passa. E noi pensiamo a una lancetta d’orologio. Ognuno ha un rapporto diverso con questo tipo d’orologio, ma resta il fatto che là, a Casa di Ramia, nel tempo sono fioriti versi imprevisti. Ciascuno a partire da una sua beata profonda solitudine, sì, però tra gli altri. Così che vince la profondità, non la solitudine.

Alle spalle di chi scrive forse c’è un sistema crollato, lo sfacelo d’uno stato, un conflitto. Forse, alle spalle di chi scrive, un paese-ricordo, o semplicemente una vita in atto, come un flash. Scrive Marina Ribaudo: «se guardo me a volte vedo te / se guardi me non è detto che mi vedi / se guardiamo troppo in giro poi non ci vediamo più/ se guardiamo ogni particolare poi perdiamo lo sguardo».
Le poesie di questa antologia vanno scovate, vanno scoperte una per una, nella loro unicità e nelle loro sei o sette lingue, italiano compreso. Chiara Zamboni, nella sua prefazione, dà coordinate precise per entrare nei versi di ciascuna delle autrici e dell’unico autore. E l’antologia è facilmente ordinabile anche online: www.bonaccorsoeditore.it.