Bianca è una ragazzina arrabbiata, ha una situazione difficile a casa da gestire – fratello malato di cuore, padre ricollocato altrove con nuova compagna, madre affaticata da una quotidianità irta di stress.
Così, per nascondersi meglio, aderisce allo stereotipo dell’adolescente «intrattabile». Ma in un momento inaspettato di un banale pomeriggio, qualcosa cambia e le cose cominciano a funzionare da una prospettiva rovesciata: la protagonista della sua serie tv preferita – Billie King – se ne sta seduta sulla poltrona domestica e ha un figlio che è amico del fragile fratellino Alan. L’incursione della fiction nella vita, mescolando i piani, scombina le idee precostituite, accogliendo in cucina – e nel disastro apparente di quella famiglia – i divi e le loro battute. Un’attrice e poi un’altra ancora inventano una possibile «normalità», oltre i ruoli. Bart Moeyaert, lo scrittore fiammingo di Bianca (Sinnos, pp. 144, euro 13, traduzione di Laura Pignatti), oggi ospite a Più libri più liberi, è convinto che «un libro possa migliorare la vita, offrire una nuova visione del mondo, soprattutto in giovane età».

L’IMPORTANTE, sottolinea l’autore (cui quest’anno è stato conferito l’Astrid Lindgren Memorial Award), è non tentare di ammaestrare i bambini con la propria scrittura. «Ho sempre desiderato avere accanto adulti che potessero fornirmi una buona ispirazione senza dirmi ’come avrei dovuto vivere’, semplicemente mostrandomi come vivevano loro stessi. Adulti con una certa aura, coraggio e carattere». Moeyaert, già nel catalogo Sinnos con Il club della Via Lattea e Mangia la foglia, non ha reticenze e non considera disdicevole esprimere il proprio debito creativo verso qualcuno. Le sue radici sono ben salde e si sono abbeverate alla fonte inesauribile di Astrid Lindgren.

«QUANDO AVEVO SETTE ANNI ho imparato a leggere e, attraverso Il libro di Bullerbyn, ho scoperto questa scrittrice – ha testimoniato nel discorso da vincitore del premio Alma 2019 -. Sei bambini in un villaggio con tre fattorie era qualcosa che potevo immaginare facilmente. Noi eravamo sette ragazzi in una sola casa, eravamo noi stessi una sorta di ’Bullerbyn’, ma stipati in una unica abitazione, a Karel van Manderstraat vicino a Bruges, nelle Fiandre».
«Da quando sono nato – continua lo scrittore – sono un corpo che ha immagazzinato ricordi. È un buon deposito da cui pescare a piene mani per costruire storie». Moeyaert sostiene che non esistano romanzi utili, ambasciatori – loro malgrado – di un messaggio. «Dalla letteratura non si deve imparare nulla o almeno non è quello il suo obiettivo. Sarà il lettore/lettrice a decidere se quel libro ha arricchito o mutato le sue idee intorno al mondo».

ED È PROPRIO quel che accade a Bianca, la ragazzina dodicenne che vediamo prima muoversi goffa schivando le emozioni, chiudendosi a porcospino di fronte alle richieste della madre e poi aprirsi per diventare «trattabile», pronta al confronto con la realtà. A metterla sottosopra è stata anche la scoperta che i fantasmi televisivi sono personaggi antieroici, che sfoderano, come tutti, una imperfetta umanità. In mezzo, c’è stata la possibilità di essere «vista» senza la paura di venir giudicata severamente e sentirsi un’eterna creatura inadeguata. Bianca, allora, diventa audace: non vuole più rimanere sospesa nel weekend ad attendere il padre e la compagna che la verranno a prendere; al contrario, desidera essere chiara e sapere a che ora andrà via con loro perché «a forza di aspettare diventi una lumaca». Non sa neanche se dirà mai a Cruz che è dispiaciuta per i comportamenti antipatici che l’hanno contraddistinta fin qui; probabilmente non lo farà, ma intanto le offrirà un disegno che ha realizzato solo per lei. «Quando scrivo – dice Bart Moeyaert – non ci sono espedienti narrativi che utilizzo per adulti o per i bambini. Mi concentro sulla voce che racconterà la storia. Chi legge, non deve sentire quella voce dal di fuori, ma essere trascinato direttamente dentro la testa, catapultato fra i pensieri di Bianca».