Ci hanno sempre detto che lo sport non ha nulla a che fare con la politica. Per rassicurarci hanno sempre ripetuto che è solo un gioco, e in tanti hanno finito per crederci. In realtà sport e politica sono sempre andati a braccetto e hanno rappresentato un forte intreccio tra potentati economici, politici e sportivi. Lo sport è parte integrante della storia politica, economica e sociale di un paese, e non di rado, come ci ha insegnato la storia del Novecento, il secolo dello sport, questo ambito ha rappresentato più di altri, in alcune occasioni, l’espressione più evidente della politica. Potremmo ricordare, le olimpiadi di Berlino del 1936 e l’uso strumentale che ne fece Hitler, qualche anno prima Mussolini con la vittoria dei mondiali di calcio del 1934 e poi del 1938. L’indisciplina di Muhammed Alì, il campione di boxe che venne privato del titolo di campione mondiale dei pesi massimi, conquistato sul ring, per essersi rifiutato di partire per il Vietnam, durante l’occupazione americana negli anni Settanta, fu sua la frase: ” I vietnamiti non mi hanno mai chiamato negro, perché dovrei sparare loro?”. La finale di Coppa Davis tra Italia e Cile, qualche anno dopo il colpo di stato di Augusto Pinochet e i mondiali del 1978 vinti dall’Argentina e sfruttati dalla giunta militare argentina guidati dal generale Videla per addormentare le coscienze dopo l’operazione desaparecidos, fino al boicottaggio del mondo occidentale delle olimpiadi del 1980, tenutesi a Mosca, in chiave antisovietica e quelle successive del 1984 dei paesi del Patto di Varsavia in chiave antiamericana, per giungere agli avvenimenti più recenti. Il razzismo nello sport espresso dal Sudafrica prima di Mandela e dalla Rhodesia, che escludeva dalle proprie compagini nazionali atleti neri. Il calcio delle repubbliche dell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, utilizzato dal potere politico come contrapposizione tra tifoserie prima e come anticipo della frantumazione del paese. La rivendicazione di autonomia della Catalogna, che ha visto scendere in campo i calciatori più rappresentativi del Barcellona, compreso l’ex allenatore Guardiola e le olimpiadi di Pyeongchang, sventolate come ponte tra le due Coree.

Il libro scritto da Rudi Ghedini, Rivincite. Lo sport che riscrive la storia (paginauno, euro 18,50), a differenza di tanti altri finti e retorici, fin dalle prime battute sostiene che lo sport è politica:” Lo sport è una delle grandi forze che muovono il mondo, l’economia, le identità, le emozioni, la politica. Fiancheggia il potere, lo usa e si fa usare, lo tiene a disatanza o lo abbraccia voluttuosamente. Può agire da detonatore o da anestetico, rafforzare o scardinare i meccanismi politici. Da oltre un secolo è impossibile indicare la linea di confine, dove comincia la politica e dove finisce lo sport”.

Il volume scritto da Rudi Ghedini, si pone come una sorta di agile manuale di storia dello sport internazionale, che potrebbe essere usato come testo nelle scuole superiori, visto che l’Italia a differenza dell’Inghilterra, ignora nei programmi di storia gli eventi sportive più salienti del Novecento. Una carrellata di campioni, dai più importanti ai meno noti, accompagnati dai loro gesti più significativi, fanno del libro un testo politico. La vasta bibliografia consultata da Ghedini, ha prodotto un libro di 450 pagine, forse troppe, che attentano alla pazienza del lettore più forte, una pubblicazione più snella, soprattutto riguardo ad alcune schede, avrebbe giovato alla lettura anche da parte dei più giovani. L’autore ribalta la sequenza storica classica degli avvenimenti sportive, a volte assistiamo a veri balzi di secoli, a favore di una impostazione che prevede la divisione degli atleti e dei loro principali gesti, raccolti in sezioni che vanno dai messaggi alle identità, dalla rivalità ai colori, come espressione di gesti dal significato politico, dai palcoscenici alle distorsioni. Rudi Ghedini è autore di documentari come Mai più, ricostruzione di un tragico incidente sul lavoro avvenuto anni fa nel porto di Ravenna e di Bologna Novantanove, che racconta una delle più sonore sconfitte conseguite della sinistra nel capoluogo emiliano, e ha collaborato alla sceneggiatura di Javier Zanetti capitano di Buenos Aires, uscito nel 2015.

Il volume Rivincite è pieno di aneddoti, come quello che accadde a Vado Ligure, comune che aveva una squadra in serie A e che diede i natali a Felice Virgilio Levratto, miglior calciatore degli anni Venti. Tre mesi prima della Marcia su Roma ad opera dei fascisti, il comune in provincia di Savona ospitò nel 1922 la prima edizione della finale di Coppa Italia. Nell’aprile di quell’anno il consiglio comunale di Vado Ligure venne sciolto, il pretesto fu la mancata esposizione della bandiera tricolora in occasione di una importante ricorrenza, in realtà quel consiglio comunale, espressione delle lotte del biennio rosso del ’19 e del ’20, aveva deciso di inserire la falce e martello al centro dello stemma comunale, e i consiglieri del re Vittorio Emanuele non l’avevano affatto presa bene.