Non schiva la questione, è lei stessa presentandosi in pubblico appena eletta a definire «un passo avanti per le istituzioni e per la nostra democrazia il fatto che io sia la prima presidente donna della Corte costituzionale, non è un fatto secondario». Marta Cartabia è stata scelta all’unanimità dal collegio dei giudici costituzionali (quattordici voti e la sua astensione). Professoressa di diritto costituzionale, cattolica vicina a Comunione e liberazione, è stata indicata per la Corte dal capo dello stato Giorgio Napolitano nel 2011. La sua sarà perciò una presidenza breve, fino al settembre 2020; Cartabia lascerà la Consulta in età lontana dalla pensione, a 57 anni. Ecco perché da ieri sera già si guarda a lei come una riserva della Repubblica per futuri incarichi.

Dopo aver ringraziato i due vicepresidenti Carosi e Morelli che hanno fatto «un passo indietro» per consentire la sua elezione, la neo presidente ha reso omaggio al presidente uscente Giorgio Lattanzi che termina un mandato per molti versi straordinario: «Con lui due anni dinamici e vivi». Ha ringraziato anche i giornalisti «siamo in un tempo in cui è fondamentale riportare il dibattito alla verità dei fatti», ha detto citando Hannah Arendt. E così parlando della recente sentenza della Corte sull’ergastolo ostativo, definita «indegna» da Salvini, ha condannato come siano stati «veicolati allarmi del tutto ingiustificati, menzogne che non aiutano a capire».

«La mia nomina avrà un impatto significativo, penso alle tante giovani studiose di giurisprudenza che avranno la strada aperta», ha detto poi, «si è rotto il soffitto di cristallo. Nella magistratura le donne sono ormai in maggioranza ma sono ancora poco rappresentate ai vertici e nelle giurisdizioni superiori». Intanto proprio ieri Elisabetta Chinaglia, candidata di Area, è risultata eletta nelle elezioni suppletive per il Csm: le donne salgono così a 6 su 16 nella componente togata dell’organo di autogoverno della magistratura. È il numero record ma sono ancora in grande minoranza.

Cartabia ha citato la neo premier finlandese, la 34enne Sanna Marin: «L’età e il sesso non contano». «In Italia – ha detto – non è ancora così, un po’ contano, speriamo di poterlo presto dire anche noi». Tra le sue prime telefonate quella con Fernanda Contri, prima donna giudice costituzionale nominata dal capo dello stato Scalfaro nel 1996 e arrivata fino alla vicepresidenza della Consulta. La seconda donna nella Corte è stata Maria Rita Saulle nel 2005, Cartabia è solo la terza in 64 anni di storia. Dopo di lei Silvana Sciarra, eletta dal parlamento, e Daria de Pretis, scelta ancora da Napolitano, che resteranno nel collegio fino al 2023. Una delle due potrebbe seguire le orme di Cartabia e diventare anche lei presidente, dopo un turno sicuramente maschile. Il vero problema, rimasto in ombra ieri in una giornata in cui chiunque ha festeggiato l’elezione della prima presidente, è il mancato ricambio. Sono cinque anni che nessuna donna viene scelta per la Corte costituzionale. Gli ultimi sette giudici, sia che gli abbiano scelti il parlamento (4), il presidente della Repubblica (1) o le supreme magistrature (2), sono stati sempre e solo uomini.

Come Marta Cartabia, in Europa sono presidenti della Corte costituzionale lady Brenda Hale nel Regno unito – la neo presidente italiana ieri l’ha citata – e Julia Przylebska in Polonia. Le donne nelle corti costituzionali sono 7 su 16 giudici in Germania, 4 su 9 in Francia, 2 su 12 in Spagna, 3 su 14 in Austria, 3 su 10 in Belgio, 7 su 19 in Finlandia, 3 su 8 in Irlanda, 4 su 12 in Portogallo, 14 su 38 in Svizzera e appunto 3 su 15 in Italia.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, la neo presidente è intervenuta sulle polemiche sollevate in questi giorni dalle opposizioni di fronte ai tempi assai ridotti per l’esame in senato, e ancor di più alla camera, della legge di bilancio. Era stata proprio lei da giudice costituzionale a redigere lo scorso febbraio l’ordinanza che aveva ammonito come «il ruolo del parlamento in particolare per la legge di bilancio deve essere rispettato nel suo significato sostanziale». «È impossibile – ha detto ieri – che una democrazia non presupponga tempi di dibattito adeguati sulla legge di bilancio. In passato non ci siamo limitati a scrivere un monito al parlamento, come talora facciamo – ha ricordato – ma abbiamo chiesto che fossero rispettate le procedure della democrazia rappresentativa, tanto più sul bilancio che è una legge architrave. Non è possibile che i parlamentari non abbiano tempi per riflettere e presentare emendamenti». Con quella ordinanza, la Corte ha sancito definitivamente che «ogni singolo parlamentare può ricorrere» alla Consulta. Anche se, ha precisato Cartabia, «solo di fronte a evidenti e gravi abusi che si traducano in un sostanziale svuotamento del suo ruolo parlamentare». Parole sulle quale i deputati di opposizione dovranno riflettere.