Nell’anno pandemico sulla Cina è stato detto di tutto e di più, ma la mole di informazioni sul gigante asiatico non ha contribuito più di tanto a dipanare quelli che sono i cambiamenti, le tendenze che covano all’interno del paese. In particolare nell’ultimo periodo sono emersi parecchi cambiamenti in atto, segnati da processi politici ormai consolidati, come ad esempio il farsi sempre più Stato da parte del Partito comunista, la piega autoritaria imposta da Xi Jinping e da rinnovate esigenze internazionali, come il rapporto con gli Usa e altri paesi, nonché l’emergere della questione ambientale come fondamentale nelle politiche economiche della Cina. A dare conto di questi passaggi politici aiuta un volume Cina, prospettive di un paese in trasformazione (il Mulino, pp. 350, euro 25) a cura di Giovanni B. Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia orientale presso l’Università di Torino, dove dirige il TOChina Centre del Dipartimento di Culture, Politica e società. All’interno del volume i contributi di tanti studiosi da tempo impegnati nel dipanare la matassa cinese, alcuni dei quali già noti a chi segue le vicende di Pechino attraverso le pubblicazioni di «OrizzonteCina».

I TEMI TRATTATI variano dagli aspetti di governance a quelli militari, da quelli di relazioni internazionali a quelli inerenti i media e la società civile in Cina. Nel primo capitolo Andornino tratteggia le novità emerse con la leadership di Xi Jinping, sottolineando il concetto di «leninismo aumentato», ovvero lo stretto controllo da parte del partito su tutto quanto accade, ponendo la dirigenza comunista come «avanguardia del popolo cinese» e non come rappresentante – pur con caratteristiche cinesi – di una legittimità derivante da appuntamenti elettorali. Analogamente il Partito con il suo progetto di «grande rigenerazione della nazione cinese» richiama «un anelito di restaurazione dell’antica grandezza della civiltà cinese» aumentata dalla tecnologia capace di allargare e non di poco la capacità performativa del «Partito-Stato» tanto sul versante della governance quanto su quella del controllo.

Tra i tanti e ottimi interventi, uno dei più collegati all’attuale fase del Paese è senza dubbio quello di Daniele Brombal; negli ultimi tre decenni, scrive, «sono emerse istituzioni (regole, norme, valori) tese a migliorare il degrado ambientale» attraverso una transizione facilitata «dalla indifferibilità della salvaguardia dell’ambiente, resa evidente da fenomeni dal forte impatto sanitario, mediatico e sociale». Ma al di là di aspetti molto sviluppati anche sui media occidentali (l’inquinamento dell’aria, ad esempio) Brombal sottolinea come la Cina tra il 1985 e il 2010 abbia perso «la metà della propria popolazione di vertebrati, con picchi del 78% per i mammiferi in habitat di foresta e del 97% per anfibi e rettili».

INSIEME A QUESTI DATI preoccupanti, però, è emerso anche un attivismo che attraverso fenomeni come lo science citizen, in alcuni casi ha perfino aiutato le autorità a monitorare e prendere decisioni. In generale il volume fornisce tanti ambiti nei quali misurare la capacità cinese di rinnovarsi, di cambiare e correggere alcuni difetti, mentre la potente leadership di Xi Jinping – come sottolineato in modo preciso da Emma Lupano nel capitolo sui media e sul rinnovato «storytelling» cinese ormai espanso a tutto quanto accade nel mondo – trasforma i meccanismi di governance in una direzione che al momento appare imperscrutabile. Ci sono degli avversari di Xi? Ci sono delle alternative? Il prossimo Congresso del 2022 potrebbe dare alcune risposte, per ora, anche grazie a opere come questa, meglio capire e approfondire l’attuale stato delle cose, in modo puntuale e approfondito.