Una poltrona per 26. Sono numerosi i candidati alla presidenza della Repubblica che da oggi si contenderanno la possibilità di conquistare il palazzo presidenziale di Cartagine.

La Tunisia che si presenta alle sue seconde elezioni libere dal 2011 mostra due volti. Da un lato un interesse sempre maggiore per un gioco democratico che otto anni dopo la fine del regime autoritario di Ben Ali sta cercando di rinforzarsi: a testimoniarlo i caffè colmi di gente per seguire gli storici dibattiti elettorali andati in onda il 7, l’8 e il 9 settembre.

Dall’altro una sfiducia crescente, a tratti di assoluta arrendevolezza, nei confronti di una classe politica considerata corrotta e lontana dai bisogni della popolazione.

«Se i tunisini non voteranno per un cambio di governo ci sarà la guerra civile», è il commento dell’ex funzionario di banca Badhreddine Zenaid che, tra un sorso di caffè e l’altro nell’affollata avenue Bourguiba di Tunisi, si lascia andare a un’analisi un po’ istintiva.

Dal 2014 il Paese è governato da una coalizione formata da Ennahda, il partito di ispirazione islamica, e Nidaa Tounes, forza di governo che sotto la guida dell’ex presidente ottuagenario Beji Caid Essebsi ha raccolto a sé gran parte delle forze secolariste.

La costituzione tunisina prevede che i poteri del presidente della Repubblica siano ben bilanciati dal governo e dal parlamento. In questi cinque anni la figura presidenziale incarnata da Essebsi ha assunto via via una maggiore importanza politica. La sua morte, il 25 luglio scorso, ha poi accelerato i tempi delle elezioni che si terranno prima di quelle legislative previste per il 6 ottobre.

La campagna elettorale si è focalizzata più sui personaggi che sui programmi, segno di una personalizzazione della politica che va per la maggiore. Su una rosa di 26 candidati, i nomi da cerchiare in rosso si restringono a pochi profili: Youssef Chahed, premier fino alla discesa in campo per queste elezioni e in rottura totale con il suo vecchio partito Nidaa Tounes; Abdelkarim Zbidi, ministro della Difesa e alleato di vecchia data di Essebsi; Abir Moussi, una delle due candidate donna ed esponente del Parti destourien libre, nato dalle ceneri dell’apparato di Ben Ali; Abdelfattah Mourou, candidato di Ennahda; Nabil Karoui, vera figura populista di queste elezioni, già soprannominato il Berlusconi tunisino, proprietario dell’emittente Nessma Tv e ora in carcere con l’accusa, da molti considerata «politica», di riciclaggio e frode fiscale; Mohamed Abbou, candidato «indipendente» e potenziale sorpresa.

«Uno degli aspetti usciti maggiormente da questa campagna elettorale è la finanziarizzazione della politica – è l’analisi di Vincent Geisser, docente e ricercatore all’Iremam di Aix-en-Provence in Francia – ci sono diversi uomini d’affari che stanno giocando un ruolo di primo piano».

Oltre all’endemico problema della corruzione, vero cavallo di battaglia di tutti i candidati, la Tunisia soffre anche di altri problemi strutturali. Una partita si giocherà sulla sfida tra islamisti e laici, incarnata da Ennahda da una parte e dall’altra la galassia di partiti che dal centro verso sinistra si sono trovati a correre. Una sfida determinante verterà invece sulla capacità di mobilitare i voti.

Il Paese è diviso tra una zona costiera ricca e sviluppata e un entroterra in gravi condizioni economiche. Le municipali del 2018 dovevano decentralizzare alcune competenze a favore delle regioni più povere. A più di un anno di distanza non è ancora avvenuto.

«I tunisini chiedono servizi che funzionino come ospedali, strade e istruzione pubblica – continua Geisser – e cercano qualcuno che incarni uno Stato forte che possa soddisfarli. Il rischio è di ritrovarsi dopo queste elezioni con sì un uomo forte al potere ma senza Stato. Alcuni candidati hanno anche proposto di cambiare la costituzione per rendere ancora più forte la figura presidenziale».

A oggi mancano ancora tutti i contropoteri previsti, in primis la Corte costituzionale che sta rendendo di fatto Tunisi un’anatra zoppa.

Dal lato dell’economia la Tunisia dipende ancora molto dagli investimenti diretti esteri per quasi un miliardo di dollari all’anno, l’inflazione dal 2012 al 2018 è salita dal 2,6 al 4,8% e il tasso di disoccupazione dal 2015 è stabile al 15,5%. Una delle ragioni della crisi è stato il crollo del turismo, la vera industria del Paese, dopo la stagione degli attentati nel 2015.

Venerdì scorso si è conclusa la campagna elettorale e centinaia di persone sono accorse su Avenue Bourguiba per seguire i discorsi finali dei candidati lungo una serie di palchi a pochi metri l’uno dall’altro. Abbou per il suo comizio finale ha invece scelto la centralissima Place de la Kasbah, luogo ricco di significato per avere dato i natali alla cosiddetta rivoluzione dei gelsomini.

Una giornata particolare che ha permesso ai tunisini di esprimere pubblicamente le proprie intenzioni di voto. Ed è così che Raja Lazanne, architetta, ha deciso di votare Karaoui «per giustizia e perché è in prigione per niente. Non ha avuto diritti, è stato preso come un ratto».

Lotfi, professore di Matematica, ascolta il candidato di Ennahda Abdelfattah Mourou terminare il suo discorso: «Li voto per la sua storia, è il partito più anziano della Tunisia e che ha subito il dolore più grande, molti militanti in passato sono stati imprigionati e torturati. Questa è la storia. Oggi è l’unico vero partito in Tunisia, tutti gli altri si sono divisi o hanno subito dei conflitti interni come Nidaa Tounes. Cosa devo fare io? Resto con un partito che si divide o con un partito che è rimasto integro? Per me la risposta è chiara».

Ad ascoltare Lotfi c’è Tamem Mahjoub, giovane medico tunisino, che ci tiene a precisare come non tutti in Tunisia votino per Ennahda: «Lo sai perché li votano? È la vera schizofrenia tunisina. Il grande capo [Rached Ghannouchi, ndr] è stato in Inghilterra, Francia, Danimarca, Stati uniti, dappertutto nel vero mondo libero. Ma una volta qui vuole praticare la sha’ria. Noi qui vogliamo un Paese laico. Io voterò Hammami, il partito di sinistra, e sarà sempre così. Dopo la rivoluzione abbiamo guadagnato molto a livello democratico, di libertà e di pensiero ma economicamente moriamo letteralmente di fame. Non abbiamo nulla di nulla, niente».

Nonostante queste elezioni rappresentino uno snodo cruciale per la sua giovane democrazia, la Tunisia ha già vinto una delle battaglie più importanti: quella per la libertà d’espressione.