«Nell’isontino si sta formando una associazione avente lo scopo di eliminare tutti gli esponenti del Partito Comunista giuliano e dell’Unione antifascista italo-slovena. L’associazione ha la sua base al Cantiere di Monfalcone. I primi elementi che si intendono sopprimere sono: il Prof. Velioni, ex primario dell’ospedale civile, l’imprenditore Gombi e Paravan Paolo di Monfalcone. Altri elementi da eliminare verrebbero segnalati di volta in volta». Questo propone ad un nuovo contatto un ingegnere del Cantiere, l’8 ottobre 1946. Più assistenza e denaro, ovviamente. Così in una informativa ritrovata nell’archivio di Lubiana.

Chi è l’ingegnere che arruola assassini? È Pietro Dominutti che nel secondo dopoguerra è anche protagonista di trasporto e occultamento di armi e partecipa alle squadre protagoniste di violenze e intimidazioni contro militanti di sinistra, sedi di partito e organizzazioni operaie. Bombe e pugnali. Determinante il suo contributo anche all’interno del Cantiere dove si perseguitano gli operai antifascisti e si sostituiscono con esuli fidati che arrivano dall’Istria.

Dominutti viene ucciso la sera del 14 gennaio 1948 mentre rientra dal Moto Club, luogo di ritrovo di «ex» fascisti di cui è presidente quello che era stato il segretario politico del Fascio. Due colpi di pistola e qualcuno che si allontana in bicicletta nella nebbia. A Monfalcone si vocifera di una vendetta per questioni di donne, si parla di questioni di interesse, «Il Lavoratore» propende per una provocazione neofascista per incrinare la pacificazione in atto ed il consolidarsi della sinistra nel territorio. Una quindicina tra i quadri dirigenti comunisti vengono fermati dai carabinieri con la scusa di proteggerli mentre i fascisti, dopo aver provocato duri scontri in Cantiere ed aver costretto ad abbassare le serrande a parecchi negozi, lanciano diverse bombe dichiarando di voler vendicare la morte di Dominutti «ucciso dai titini». Le inchieste non hanno seguito, i possibili moventi si sommano, l’autore del delitto rimane sconosciuto.

Nazionalista, spia, bombarolo e morto in circostanze oscure: Dominutti diventa subito, per la destra, un patriota e un martire. Già nell’estate del 1948 la Lega Nazionale fa erigere un cippo nella strada dove è stato ucciso e intorno a quella lapide di «italiano assertore dell’italianità della sua terra», da qualche anno, Monfalcone Pro Patria raduna uno scarno manipolo di figuri che all’atto della chiamata «Presente!» alzano il braccio nel saluto fascista.

Quest’anno la novità: con sola delibera di Giunta, il Comune guidato dalla leghista Anna Cisint ha intitolato a Pietro Dominutti una piazza. «È stata piantata l’ennesima bandierina per riscrivere in stile destra nazionalista la storia ben diversa di questa città» commenta Monfalcone Meticcia. Altre proteste da sinistra, comunicati duri dell’Anpi e di Rifondazione ma il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Mauro Steffè gongola: la sua annosa battaglia è vinta. I voti dei neofascisti contano.

Domenica una corona di fiori per questo nero esempio di patriota e ci sarà anche il nipote di Dominutti, quello che «non sono qui per politica ma per il dolore della famiglia» mentre in internet scrive «Noi tireremo dritto», esibisce tatuaggi ben connotati e profluvi di 88. «Con i nomi si possono creare un immaginario e perfino un’epica e una mitologia» scrive l’editore Kappavu a proposito di «Ronchi dei Partigiani», un convegno che è diventato libro sulla toponomastica a Ronchi dei Legionari e nel monfalconese, dove i nomi dei paesi e delle strade raccontano una storia che il più delle volte storia non è.