Un’amica americana mi scrive su WhatsApp: «Sono io che sono pazza o Trump creerà un governo alternativo a Mar-a-Lago?» e io rispondo con una faccina che fa lo sberleffo. Nemmeno un quarto d’ora e arriva la notizia che Trump, bandito da Twitter, ha annunciato che creerà una «propria piattaforma» alternativa allo strumento che lo aveva reso presidente degli Stati Uniti. Quindi è vero: un governo-ombra attraverso una galassia di siti di estrema destra è nelle cose.

Se e quando questa costellazione prenderà forma è difficile da prevedere ma quello che è certo è che Trump non intende abbandonare la politica e, poiché i terzi partiti nel sistema elettorale americano non hanno futuro, cercherà di prendere le sue vendette contro i «traditori» del partito repubblicano e di eliminarli uno a uno attraverso lo strumento delle primarie.

Per esempio, la figlia Ivanka è pronta per sfidare Ted Cruz per il seggio senatoriale della Florida nel 2022, se Cruz non continua a fare l’obbediente barboncino del padre come ha dimostrato perfino il 6 gennaio mentre gli squadristi davano l’assalto al Congresso.

Ciò detto, rimangono due problemi grandi come una casa: primo, Twitter ha ragione o torto nel bandire un personaggio pubblico? Secondo, che succederà a Trump il 21 gennaio quando i procuratori federali guarderanno con calma i video del suo comizio ai manifestanti e sentiranno la frase «andate e combattete»?

Sulla prima questione Twitter, che è un’azienda privata e quindi può fare quello che vuole, si colloca nella tradizione delle sentenze della Corte Suprema sul Primo emendamento, sentenze che ovviamente riguardavano il governo e non i giornali o altri mezzi di comunicazione privati. Il criterio adottato dalla Corte fin dal 1927 (Whitney v. California) è che deve esistere un «pericolo chiaro e imminente» per limitare la libertà di espressione.

Nei corsi delle facoltà di legge si spiega agli studenti del primo anno che gridare «al fuoco! al fuoco!» in un teatro affollato senza che ci sia un incendio non è un discorso protetto dal Primo emendamento ed è punibile perché il pericolo di danni agli spettatori che fuggirebbero nella calca è reale.Va le la pena di ricordare che la sentenza del 1927 riguardava un’attivista degli Industrial Workers of the World, Charlotte Whitney, portata in tribunale da una legge antisindacale dello Stato della California varata nel 1919 durante la Red Scare, la grande paura di anarchici e comunisti che provocò una repressione violenta dei militanti in tutti gli Stati Uniti: il caso di Sacco e Vanzetti, qualche anno dopo, si collocava nello stesso clima politico. La Whitney fu condannata ma il criterio del «pericolo imminente» è rimasto valido fino ad oggi.

Quindi i tweet di Trump che i giornali amabilmente definiscono «incendiari» sono più che passibili non solo di censura ma anche di successive azioni legali per incitamento alla violenza e altri reati. Resta il problema di una piattaforma che ormai ci appare più un «servizio pubblico» che uno strumento privato: essere esclusi da Twitter e Facebook per i politici è più grave che una condanna penale. Una sentenza della magistratura si può sempre appellare, aggirare o comprare, mentre contestare le decisioni della piovra fondata nel 2006 da Jack Dorsey è semplicemente impossibile.

Il bando di Trump ha provocato un diluvio di prevedibili proteste e di accuse di faziosità da parte dei repubblicani. Ma Twitter e Facebook avrebbero dovuto fare ciò che hanno fatto adesso già anni fa perché era evidente che le loro piattaforme venivano usate dal presidente per intimidire gli avversari, o addirittura indicare i suoi nemici alla vendetta popolare. Non va dimenticato che pochi mesi fa l’Fbi aveva scoperto in tempo un complotto di terroristi neonazi per rapire e uccidere la governatrice democratica del Michigan Gretchen Whitmer. La decisione di progettare il rapimento era arrivata dopo gli attacchi di Trump alla Whitmer per le sue decisioni di attuare un parziale lockdown nello Stato per controllare l’epidemia.

Guardando nella sfera di cristallo, quindi, cosa si può immaginare sul futuro di Donald Trump? Sicuramente Mar-a-Lago diventerà il punto di riferimento dell’estrema destra americana ma si tratterà più di un network di individui e organizzazioni autonome che di un movimento centralizzato. Molto dipenderà dall’atteggiamento dei suoi seguaci in Congresso e, soprattutto, dei media che fino a ieri gli hanno permesso di dominare il dibattito politico: Breitbart News, della miliardaria Rebeka Mercer e Fox News, di Rupert Murdoch. Sembra che Fox abbia deciso di rompere con Trump dopo la sconfitta ma già si sono scatenate le piattaforme che vogliono raccoglierne l’eredità, come Parler, che ha solo 4 milioni di utenti attivi ma spera di rubare a Twitter gli 88 milioni di follower che l’ex presidente aveva lì.

L’unica cosa certa è che i 74 milioni di voti raccolti nel novembre scorso non spariranno come per magia, neppure dopo la visione delle incredibili immagini che sono apparse su tutti gli schermi la sera del 6 gennaio 2021. Sempre la stessa amica americana mi chiede: «Nel 700° anniversario di Dante, non sarebbe possibile inserire nella Divina Commedia un girone all’Inferno per Trump?».