«Il governo ha dichiarato di condividere l’obiettivo di una pensione di garanza». Con tutte le cautele del caso del caso e i precedenti negativi, il risultato del tavolo fra governo e sindacati tenutosi ieri pomeriggio al ministero del Lavoro è una piccola svolta per il sistema previdenziale italiano, una grande breccia sulle sue ingiustizie ed evitare che giovani e precari dicano: «Tanto noi la pensione non l’avremo mai».

Cgil, Cisl e Uil nella loro piattaforma unitaria hanno rilanciato l’idea da anni portata avanti dal giovane professore della Sapienza di Roma Michele Raitano: per evitare che milioni di uomini e donne che hanno subito e subiranno la precarietà abbiano pensioni da fame, lo Stato colmi i buchi contributivi per garantire loro una pensione dignitosa dopo 40 anni di impegno nel mondo del lavoro.

NEL «CANTIERE PENSIONI» per cambiare – realmente – la riforma Fornero, la prima riunione tecnica ha visto nella sede di via Giulia la ministra Nunzia Catalfo aprire il confronto fra i sindacati e i suoi «quattro esperti» – il professore di Perugia Stefano Giubboni, il giurista Roberto Riverso, il professore della Sapieza di Roma Massimiliano Tancioni e il più esperto Giovanni Geroldi – e i rappresentanti del Mef proprio con all’ordine del giorno la «pensione contributiva di garanzia» per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo l’entrata in vigore della riforma Dini del 1996 e quindi con un assegno che sarà calcato interamente sull’ammontare dei contributi versati ma con carriere discontinue.

Al tavolo Cgil, Cisl e Uil hanno presentato una proposta con sfumature differenti. «Noi vogliamo garantire una pensione di circa mille euro a giovani e precari che si siano impegnati nel mondo del lavoro: la copertura contributiva sarebbe ex post, a fine della carriera – spiega il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli – . In questo modo il costo sarebbe spostato in avanti e non riguarderebbe coloro che, dopo un inizio precario, riescono poi ad ottenere carriere lavorative importanti».
La Uil invece punta ad «adottare misure già nel corso della carriera lavorativa, con il riconoscimento di una contribuzione figurativa piena per i periodi di disoccupazione o per i periodi di formazione svolti fuori dal periodo lavorativo».

Dalla Cisl è arrivata una stima precisa: la pensione di garanzia non potrà essere comunque inferiore ai 780 euro al mese ma da legare indissolubilmente al numero di anni lavorati che valorizzi anche i periodi di discontinuità, la disoccupazione involontaria, la formazione e le fasi di bassa retribuzione.

È UNA CIFRA NON CASUALE: è la stessa del massimale della «pensione di cittadinanza» introdotta nel «governo del cambiamento» dal M5s con Di Maio. Ma allo stesso tempo i due strumenti sono diversissimi: la «pensione di cittadinanza» viene elargita rispetto alla ricchezza familiare (Isee), mentre la «pensione di garanzia» è personale e si basa sui contributi versati.
L’incontro è stato interlocutorio. Alle esposizioni dei sindacati la Commissione di esperti voluta dal ministro Catalfo ha risposto «condividendo l’obiettivo» ma rinviato al prossimo incontro una risposta più compiuta alle richieste di Cgil, Cisl e Uil, partendo dalle risorse a disposizione dell’intervento su cui, hanno lamentato al termine i sindacati, è ancora nebbia fitta.

DA QUESTO PUNTO DI VISTA potrebbe risultare decisivo il ruolo di Marco Leonardi, ex consulente a palazzo Chigi di Renzi e fautore del Jobsact, ora in rappresentanza del ministero dell’Economia.
«Il Mef deve uscire dalla logica che prima si definiscono le proposte e solo dopo si cercano le risorse. Per noi vale il contrario», ha spiegato il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo.

LA PARTITA SI GIOCA TUTTA QUI: finora i «cerberi» della Ragioneria, dalla riforma Fornero alle stime esagerate di Quota 100, hanno sempre usato la previdenza come un bancomat o un feticcio immodificabile. Ora però specie la proposta Raitano-Cgil non costa niente, spostando la spesa dopo la «gobba previdenziale» del 2040. Finite le scuse da «austerity previdenziale», da oggi serve volontà politica per rendere più equo il sistema e zittire chi soffia sul fuoco dello scontro generazionale.