Cosa univa il cinema di Roberto Benigni ai capolavori di Sergio Citti, Casotto e Mortacci, ai migliori film sulla generazione perduta dei figli negli anni 70, Colpire al cuore di Gianni Amelio e Segreti, segreti di Giuseppe Bertolucci? Cosa univa tutta una generazione di nuovi comici, Francesco Nuti o Antonio Albanese, alla vena più surreale del Totò pasoliniano dei suoi incredibili ultimi episodi? Un signore che di Pasolini era stato allievo e poi assistente e di Citti un fratello colpito dallo stesso inconsolabile lutto e di Benigni una sorta di fratellone maggiore.

Vincenzo Cerami, morto ieri a Roma a 72 anni dopo una lunga malattia, era scrittore e sceneggiatore, ma anche molto di più, perché di tanti film che ha scritto non solo era responsabile della solidità di struttura, ma anche, spesso, dell’anima. A cominciare dai suoi folli, sofisticatissimi western, da Blindman, con Tony Anthony pistolero cieco che scorta un gruppo di prostitute nel deserto, a L’odio è il mio Dio a Il pistolero di Santa Maria, spaghetti western ultrasperimentali e in acido, dove puoi incontrare Ringo Starr, il 3D e in cui lo stesso Cerami può diventare regista, come in Il pistolero di Silenzio.

Pochi giorni fa lo avevamo capito tutti ai David di Donatello, dove è stato più che premiato alla carriera, ricordato quasi con commozione dagli amici Roberto Benigni e Nicola Piovani, che Cerami non si sarebbe facilmente ripreso. «La prima volta che l’ho visto non ci ho messo più di cinque minuti per dargli subito il mio David», aveva detto Benigni, che nel giro di un anno ha visto scomparire tre dei suoi più forti amici e collaboratori, da Giuseppe Bertolucci a Carlo Monni a Cerami.

È ovvio che il rapporto Benigni-Cerami rappresenti, assieme al successo di certi suoi romanzi, come Un borghese piccolo piccolo, la punta più nota dell’attività dello sceneggiatore e scrittore. Il quasi-Oscar toccato con La vita è bella, i grandi incassi di Il piccolo diavolo, Johnny Stecchino, Il mostro, sono successi che naturalmente Benigni attore e regista condivideva con Cerami, che rappresentava per lui non solo un legame con Pasolini e Citti, ma anche un grande ordinatore, supervisore di tutto. Quasi un corpo unico. Una unione, un corpo a corpo che Cerami aveva sperimentato con Francesco Nuti, per due film molto riusciti, Tutta colpa del Paradiso e Stregati, che avrebbe ritrovato con Antonio Albanese, nei suoi primi film da regista. Ma c’era anche un Cerami non comico, scrittore duro e serio per Gianni Amelio, per due film bellissimi e importanti, Colpire al cuore e I ragazzi di Via Panisperna, e per Marco Bellocchio, anche in questo caso per film fondamentali, come Salto nel vuoto e Gli occhi, la bocca. Film sulla famiglia e sul nostro paese, tormentati e complessi negli anni 80 di un’Italia alla ricerca di se stessa. Certo, con Benigni e, prima, con Sergio Citti e Giuseppe Bertolucci, Cerami aveva trovato anche una sua via personale alla commedia, surreale, stravagante. C’è Cerami dietro capolavori come Casotto, Il minestrone, Sogni e bisogni e c’è dietro un film non riuscito ma ricchissimo come I cammelli. Casotto è diventato un cult tale che lo stesso Cerami ne ha scritto una sorta di sequel-remake con Tutti al mare, diretto dal figlio Matteo e interpretato anche da lui stesso nel ruolo che, più o meno, aveva Ugo Tognazzi.

Un film sfortunato che amo molto e che lo stesso Vincenzo mi chiamò non a presentare, ma a benedire. Del resto Cerami nascondeva molti segreti e altrettanti lati nascosti che per anni mi sono divertito a stuzzicare con lui. Perfino serie di caroselli negli anni 70…

Sempre disponibile, intelligente, divertito, il suo primo segreto era forse quello di essere figlio di una generazione cresciuta negli anni 60, tra la follia delle stravaganze rock-hippy-western e il sogno di una rivoluzione impossibile. Il cinema comico non era che l’ultimo di un sogno più grande. Ma certo i film di Sergio Citti sarebbero impensabili senza il suo contributo. E la nostra grande generazione di comici gli deve se non tutto, molto.