Per una settimana a Shatila si è parlata la lingua universale del calcio, con l’arrivo di Renzo Ulivieri, ex giocatore e allenatore, ora presidente dell’Associazione italiana Allenatori Calcio (Aiac), che ha tenuto un corso di formazione per i tecnici delle oltre venti squadre palestinesi presenti in Libano. È il quarto anno consecutivo che il progetto Sport in Shatila, organizzato da Associazione per la Pace, porta nel campo un coach italiano, ma questa volta alla fine del corso (5 ore di teoria e 2 di pratica dal 9 al 14 settembre) è stato rilasciato ai partecipanti un certificato di primo livello dell’Aiac.

Una «grande soddisfazione» per Salma Taha, 41 anni, una delle due donne che hanno partecipato al training: «Ho imparato qualcosa della difesa e della tattica italiane, adesso le insegnerò ai miei ragazzi».

La passione per il pallone è diffusa nel campo, i ragazzi indossano le magliette della serie A e ognuno ha la sua squadra del cuore. Rincorrono la palla nei rarissimi slarghi di questo sovraffollato fazzoletto di terra di un chilometro quadrato, nella zona meridionale di Beirut. Ulivieri ha tenuto gli allenamenti in due campi, dalle dimensioni non regolamentari, all’esterno di Shatila, dove invece l’unico spazio aperto è un quadrato di circa 30 metri per 30. il resto sono vicoletti angusti, sovrastati da un groviglio di fili che scende da palazzine che si alzano di piano in piano ogni anno, per ospitare una popolazione ufficiale di 22mila persone, aumentata vertiginosamente dall’inizio della crisi siriana. Il progetto «Sport in Shatila» si è chiuso alla vigilia del 31esimo anniversario del massacro di Sabra e Shatila. Renzo Ulivieri ricorda il settembre del 1982. Per lui si era chiusa una stagione brillante, aveva portato la Sampdoria in serie A, ma quella strage è rimasta impressa nella sua memoria.

Cosa ricorda della strage di Sabra e Shatila del 16-18 settembre 1982?

Ricordo quella tragedia come il dramma di un intero popolo. Era un momento di successo nella mia carriera di allenatore, ma non ho mai vissuto soltanto di calcio. Per me il pallone è stato un lavoro entusiasmante, ma mi sono sempre interessato ad altro. Non è la prima volta che lavoro con i palestinesi, sono stato a Ramallah con gli allenatori dei Territori. È la mia prima volta in Libano, però, e la differenza è notevole. La sofferenza di un intero popolo che si osserva nei Territori, qui la percepisci come ancora più grande. In fondo la questione palestinese potrebbe essere ricondotta a un’unica semplice domanda cui la politica dovrebbe dare una risposta: è giusta e umana la condizione in cui vive questo popolo?.

Cosa l’ha colpita adesso di Shatila?

Le condizioni in cui vivono queste persone, così tante in uno spazio così ristretto, mi hanno dato l’impressione di una enorme fatica di vivere. D’altro canto, ho visto cose meravigliose, e sono sempre i bambini a regalartele. La loro gioia quando giocano in queste stradine, la felicità che riescono a trovare nelle piccole cose, come rincorrere un pallone.

Cosa pensa di avere lasciato alle persone con cui ha lavorato questa settimana?

Il calcio è un modo di stare insieme e nelle difficoltà saper stare insieme è fondamentale. Spero di avere lasciato l’idea che non si deve piegare la testa, ma si deve cercare una strada, un modo per emergere, e stando uniti è più semplice riuscirci.

Cosa, invece, hanno lasciato loro a lei?

Mi hanno riportato indietro alla mia giovinezza, al mio primo pensiero di sinistra. Quando ero un ragazzino, durante gli anni della ricostruzione, e i giardini delle case non erano ancora recintati, ma erano spazi aperti in cui noi giocavamo. Poi hanno iniziato a recintarli, gli spazi comuni diminuivano e dentro di me pensavo che questa cosa fosse ingiusta. Qui gli spazi sono pochissimi, ma sono tutti comuni.

Come sono i palestinesi in campo?

Hanno fantasia e sarebbe un peccato che la perdessero, però devono organizzarsi. Mi hanno dato l’impressione del nostro Sud, dove c’è tanta fantasia e, infatti, i nostri giocatori più fantasiosi sono meridionali. La fantasia nasce dal gioco di strada. Sono soddisfatto di avere instaurato un rapporto con questi allenatori che seguono così tanti bambini, e sono anche contento perché la nostra associazione si è aperta ad altre realtà.

Tornerà a Shatila?

Di solito torno a verificare come vanno le cose. A tirare le orecchie.