Lev Kulešov, L’arte del cinema, a cura di Giampiero Frasca, Roma, Audino, pp. 95, euro 12,00

Se non avete visto Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi, non sapete di cosa è capace Kulešov quando mette da parte la seriosità del professore per abbandonarsi al piacere del cinema-cinema, alla scatenata allegria di narrare per immagini. Straordinaria figura di patriarca del cinema sovietico e di implacabile teorico del montaggio, rischia di essere ricordato come titolare dell’ “Effetto Kulešov”, per cui lo stesso primo piano di Ivan Mozžuchin, il più celebre divo del cinema zarista, accostato a un piatto di minestra esprime fame, alla bara di una bambina esprime dolore, a una donna attraente esprime desiderio. Ma si tratta soltanto di uno dei tanti esperimenti del suo collettivo, attraverso i quali nei prodigiosi anni venti si viene definendo il montaggio come rivelazione del senso nascosto del reale. Il saggio teorico di questo giovane entusiasta – nato nel 1899, ha un anno meno di Ejzenštejn e sei meno di Pudovkin, ma sopravvivrà a entrambi dirigendo la scuola del Vgik fino al 1970 – si rivela ancor oggi ricchissimo di spunti illuminanti. Pudovkin diceva: “Noi facciamo film, Kulešov ha fatto il cinema”.

Ilaria Floreano, Volevo dipingere la luce del sole. Vita di Edward Hopper tra pittura e cinema, Milano, Bietti, pp. 288, euro 20,00

Senza pensarci troppo, vengono in mente I gangster di Siodmak, Strada scarlatta di Lang, Il bacio dell’assassino di Kubrick, Paris, Texas di Wenders, che in alcune sequenze rimandano alla spoglia essenzialità di altrettanti quadri in cui sembrano annunciare la minaccia incombente. Senza dimenticare il Bates Motel affacciato sul nulla di Psyco di Hitch e la magione texana che spicca nella prateria di Il gigante di Stevens. Nessun altro pittore ha esercitato la stessa influenza sul cinema come Edward Hopper. La sua “scena americana” – vista come in un acquario, le figure isolate sullo sfondo, i movimenti colti mentre accadono, l’onnipresenza delle soglie – rivive nell’immaginario di più di una generazione di cineasti. L’insolita idea del libro è di arrivarci non tanto dal confronto tra film e dipinti, ma attraverso la vita del grande artista, mettendo in parallelo lo scorrere degli eventi biografici e le svolte epocali della pittura, della fotografia, del cinema, evitando l’equivoco di attribuire un’aura hopperiana a ogni bar, negozio, stazione di servizio, camera d’albergo, scorcio urbano che capiti di vedere al cinema.

Paolo Albiero, Giacomo Cacciatore, Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci, Palermo, Leima, pp. 500, euro 70,00

Lucio Fulci è il diavolo. Non il diavolo dell’iconografia tradizionale, ma piuttosto quello – lo ritroviamo al centro dei saggi di Giacomo Debenedetti, da L’avventura dell’uomo d’occidente a Confronto col diavolo – della soggettività lacerata e stravolta rivelata da Freud: “Sua la prima mossa. E’ stato lui a prendere d’assalto la centrale dei divieti, l’imperscrutabile regione donde emanano gli imperativi che ci tengono schiavi, le paralisi superstizioni tributi sacrifici, tutto quanto è coatto nella nostra vita, per portarla a collimare con qualcosa di nostro, fisicamente dentro di noi, dal nome più familiare, qualcosa con cui sappiamo convivere fin dalle remote infanzie della specie: l’inconscio”. Quell’inconscio che è al fondo del cinema della paura di un autore dall’intelligenza mercuriale e dal temperamento sovversivo che mette a soqquadro i generi del cinema popolare e lascia il segno persino nei provocatori musicarelli e nelle trascinanti trasferte londoniane, ma soprattutto nei thriller più visionari e negli horror più allucinati, dove si scatena la sua perfida strategia infernale. Senza dimenticare Non si sevizia un paperino, uno dei capolavori assoluti del giallo italiano.

Steve Della Casa, a cura di, Dino Risi. Pensieri parole immagini, Roma, Sabinae, pp. 351, euro 28,00

Ma soprattutto tante, tantissime foto. Foto di scena, foto di set, fotogrammi tratti direttamente dai film, montati con i brani delle interviste di diversa provenienza che svolgono la funzione della voce over del regista – che sembra a tratti di sentire nelle sue inconfondibili inflessioni, l’erre moscia, il sottofondo protomilanese, l’aria apparentemente svagata – in un flusso continuo di racconti, riflessioni, aneddoti, confessioni. Come nel suo cinema, non ha mai bisogno di ostentare la propria vocazione autoriale, si limita a calibrare i toni, giocando sempre tra distacco e coinvolgimento, tra sguadro sapiente dell’entomologo – spesso scambiato per cinismo – e disincantata partecipazione alla vita dei personaggi. Mentre i ritmi ossessivi del juke-box, dei quarantacinque giri, della radio scandiscono con un fiume di canzoni di successo i tempi della messinscena, tra scarti esistenziali e congiunture economiche. Senza trascurare i collage, gli appunti visivi, i ritagli giornalistici del suo archivio personale, altrettanti censimenti di ricorrenze, amori, idiosincrasie a cui risalgono gli spunti di alcuni dei suoi film.

Giovanni Spagnoletti, Antonio Valerio Spera, a cura di, Risate all’italiana. Il cinema di commedia dal secondo dopoguerra ad oggi, Roma, UniversItalia, pp. 371, euro 18,00

Sfogliamo questo bel libro in cui una decina di giovanissimi studiosi, con un gruppetto di veterani, si occupa finalmente del cinema comico e della commedia all’italiana, cercando di far quadrare il cerchio, e cioè di considerarli insieme ma al tempo stesso tenendoli distinti, e ci viene in mente una riflessione di Italo Calvino. Assolutamente inattuale per le modalità del consumo cinematografico di oggi, è perfetta per la grande stagione della commedia italiana di ieri : “Cinema vuol dire sedersi in mezzo a una platea di gente che sbuffa, ansima, sghignazza, succhia caramelle, ti disturba, entra, esce, magari legge le didascalie forte come al tempo del muto; il cinema è questa gente, più una storia che succede sullo schermo. Il fatto caratteristico del cinema nella nostra società è il dover tener conto di questo pubblico incommensurabilmente più vasto ed eterogeneo di quello della letteratura: un pubblico di milioni in cui le benemerite migliaia di lettori di libri esistenti in Italia annegano come gocce d’acqua in mare”.

Silvia Trovato, Tiziano Arrigoni, Una vita per il cinema. L’avventurosa storia di Umberto Lenzi regista, Piombino, La Bancarella, pp. 145, euro 20,00

L’affollata filmografia di uno dei maggiori money-maker del cinema popolare s’intreccia alla biografia in presa diretta del protagonista, maremmano doc animato da irriducibile spirito anarchico, grande passione per la storia soprattutto del secondo conflitto mondiale, inarrivabile collezionista di memorabilia della guerra civile spagnola. Dopo il Centro Sperimentale e una ventina di film dei generi più disparati, l’incontro con la hollywoodiana di passaggio Carroll Baker è all’origine di Orgasmo, un grande thriller psicologico, sensuale e coinvolgente, e di altri tre gialli meno smaglianti. Ma il suo momento magico è il poliziottesco del decennio successivo con Tomas Milian e Maurizio Merli, da Milano rovente a Milano odia: la polizia non può sparare, da Roma a mano armata a Napoli violenta, titoli dagli incassi miliardari, dove gli inseguimenti vertiginosi nelle sopraelevate metropolitane sono una specie di inconfondibile cifra personale del regista. Dopo un paio di kolossal bellici a grande budget e altre spericolate incursioni nei generi più estremi, compreso il cannibalico, è tornato al giallo, questa volta di carta, con una serie di suggestivi romanzi ambientati nel set italiano dagli anni quaranta in poi.

Giuseppe Sansonna, Hollywood sul Tevere. Storie scellerate, Roma, minimum fax, pp. 148, euro 16,00

Alighiero Noschese, che personaggio. Se vi viene in mente Fregoli, il grande trasformista del secolo scorso, che non esitava a svelare al pubblico i retroscena, si direbbe che Noschese sia stato il contrario perché non lasciava mai trapelare niente di quello che c’era dietro le sue performance. Puntava tutto sulla naturalezza del cambiamento, sull’attitudine a moltiplicarsi in una infinità di personaggi, di essere veramente uno, nessuno e centomila. L’identità multipla porta alla crisi di identità? Sarebbe troppo facile scoprire qui il segreto rovello dell’attore che, cavalcate con strepitoso successo le modalità delle personificazioni più diverse, non riesce a convivere con l’uomo senza volto. Il demone dell’imitazione compulsiva si traduce nel tourbillon delle metamorfosi sullo sfondo – importante per un animale da teatrino televisivo come lui – delle vicende politiche italiane degli anni settanta, dove i titoli minacciosi dei quotidiani non sono troppo diversi dalle spietate provocazioni del “Male”. La crisi esistenziale sprofonda nelle sabbie mobili della depressione, nel salto nel buio, nel colpo di pistola.

Andrea Pergolari, La polizia s’incazza. Dizionario del giallo italiano, Roma, Ultra, pp. 412, euro 23,50

Si dice giallo ma si intende poliziesco, thriller, mystery, suspense, storia criminale, spionistico. Chissà se c’è ancora qualcuno che guarda con diffidenza il genere e le sue vicende nazionali. Pronto a snobbare anche questo utilissimo volume che comprende registi, sceneggiatori, attori, personaggi del giallo italiano dall’avvento del sonoro a oggi, mentre si annuncia un secondo dedicato ai film e un terzo alle città, al contesto storica, alle interviste ai protagonisti. La galleria di facce non sempre rassicuranti e di profili biografici è una mappa preziosa che consente di orientarsi all’interno di un universo in cui mancano repertori attendibili e si sprecano invece i panorami raffazzonati e approssimativi. Naturalmente un dizionario non è solo un dizionario. Andate a leggervi le voci dedicate a Fernando Di Leo, Duccio Tessari, Michele Lupo, Dario Argento, Steno, Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Dardano Sacchetti, Ernesto Gastaldi, Franco Enna, i Commissari Ambrosio, Baldassarre, Santamaria per verificare direttamente la bravura dell’autore nel fare delle voci di dizionario altrettanti ritratti critici. Vivaci, personali, adrenalinici.