«L’idea del disarmo totale non è scontata nemmeno nella Chiesa cattolica, dove esiste ancora qualche residuo della vecchia dottrina della guerra giusta. Questo convegno che si svolge in Vaticano e a cui prende parte anche papa Francesco ha quindi un valore doppio: è una tappa ulteriore della lotta collettiva per il disarmo nucleare che unisce laici e cattolici e può contribuire a smuovere anche le comunità cristiane».

È il giudizio di don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia, sul simposio sul disarmo che si sta svolgendo in Vaticano a cui sta partecipando con altri dirigenti del movimento cattolico internazionale per la pace e a 350 esponenti di organizzazioni e associazioni di tutto il mondo.

Don Sacco, questo convegno è davvero così importante?

Direi proprio di sì, perché cade in un momento storico particolare, con i nuovi venti di guerra che spirano nel mondo, e perché non è estemporaneo ma frutto di un percorso che dura da tempo. Certo, bisognerà fare in modo che non resti una mera occasione celebrativa da consegnare agli archivi.

E come si fa ad evitarlo?

Facendo uscire da queste stanze i contenuti che qui si stanno discutendo e trasformandoli in mobilitazione sociale e, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, in azioni culturali ed educative verso i cittadini.

Anche verso il governo italiano che ha deciso, senza dare spiegazioni, di non firmare il Trattato Onu sul divieto delle armi nucleari?

Certamente. Il nostro Paese non ha firmato perché fa parte della Nato, e ovviamente la Nato ha bloccato qualsiasi adesione. Del resto siamo anche noi uno Stato nucleare: ormai si sa che in Italia sono conservate diverse decine di bombe atomiche. Allora bisogna essere in grado di avviare una mobilitazione dal basso, della società civile ma anche delle parrocchie e delle comunità cattoliche, per spingere il governo a sottoscriverlo. In questa azione non bisogna essere timidi, nemmeno la Chiesa.

Ci sarà questa mobilitazione?

Dobbiamo impegnarci tutti. Il disarmo non è materia da addetti ai lavori ma deve diventare patrimonio di tutti. E per questo ci vuole anche un’azione culturale capace di scardinare l’idea di dover attaccare, magari per primi, non sono nelle guerre ma anche nella vita di tutti i giorni. I fatti di Ostia di questi giorni, con l’aggressione ai giornalisti Rai, non sono forse un indizio che questa cultura è radicata e diffusa?

La sua parrocchia si trova non troppo lontano da Cameri, dove si stanno assemblando i cacciabombardieri F35, che fra l’altro sono in grado di portare e sganciare ordigni nucleari…

È vero. E tutto succede nel disinteresse generale e nel silenzio della politica, che anzi è complice, perché in fondo vede nella guerra un grande business. Perciò dico che iniziative come quella di questi giorni sono importanti se riescono ad accendere i riflettori su queste zone in ombra e se si trasformano in mobilitazioni, in campagne, in scelte e azioni concrete.