Fino ad ora, come artisti e centro di ricerca, ci siamo sempre astenuti dall’esprimerci sulla questione dei vaccini e del green pass, per non contribuire alla profonda polarizzazione che dilania la comunicazione pubblica e privata. Allo stesso tempo, pensiamo sia utile fornire una prospettiva ulteriore, per contribuire a riaprire il discorso di cosa voglia dire poter godere di diritti e libertà in questo nostro mondo globalizzato e iperconnesso.

In questi mesi e giorni si è detto e sentito di tutto: dai complotti all’opportunità; dal vaccino come nuova forma di libertà all’incostituzionalità dei provvedimenti presi per la sua introduzione; dall’antiscienza alla dittatura; dallo stato di emergenza a quello di eccezione.

Pandemia, vaccini, green pass e anti-tutto sono stati terra di conquista per quella politica che raccoglie proseliti senza farsi troppi scrupoli e senza prendersi troppe responsabilità, e che distribuisce piaceri a destra e a manca, pronta poi a riscuotere in campagna elettorale o a fine mandato. Nulla di nuovo, se non addirittura un atteggiamento tipico di questo inizio millennio, dove la politica assomiglia sempre più alla customer satisfaction.

È utile a questo punto introdurre un ulteriore concetto nella discussione, per evidenziare possibili direzioni per riflettere, decidere e agire.

Incendio a Città del Messico, foto Ap

La nostra idea di cosa siano diritti e libertà deriva da un mondo che non esiste più. Un mondo che, per l’appunto, non era né globalizzato né iperconnesso. Queste due caratteristiche – globalizzazione e iperconnessione – cambiano completamente le carte in tavola. Fenomeni lontanissimi influiscono sulle realtà locali. Altri, di carattere planetario, non sono riconducibili a singoli luoghi, ma sono il risultato di centinaia di miliardi di variabili interdipendenti, ben oltre la capacità di comprensione di qualsiasi essere umano e delle sue comunità.

Il risultato è che questo sarà un secolo umanamente incomprensibile. I nostri sensi e i nostri intelletti non saranno più sufficienti a percepire e comprendere il mondo in cui viviamo. La frustrazione di questa condizione esistenziale ci porterà a vivere questi fenomeni complessi come ingiustizie, complotti e conflitti con i nostri simili. Le enormi disparità che esistono nel mondo – l’accesso alle medicine, all’acqua, alla salute, all’energia, al cibo, alle risorse economiche… – non aiutano in nulla, creando ancora più rabbia e violenza, fisica e nella comunicazione.

Tutto ciò sta già accadendo e mentre accade continuiamo (solo) a difenderci, col risultato che da questa posizione difendiamo un mondo che non esiste più. Potremmo, quindi, iniziare a domandarci quanto siano validi e quanto siano capaci di assicurarci benessere e felicità i diritti e le libertà che in quel mondo abbiamo conquistato – ad oggi ancora distribuiti in maniera estremamente disomogenea, reduci da tutte le forme del colonialismo, del patriarcato, della depredazione, della distruzione sistematica dell’ambiente e da tutto ciò che hanno comportato.

Questo fenomeno – l’inconoscibilità del nostro ambiente – sembrerebbe irreversibile: se non possiamo percepire, comprendere e soprattutto “sentire” le centinaia di miliardi di variabili interdipendenti alla base dei fenomeni complessi che si abbattono su di noi (cambiamento climatico, pandemia, migrazioni…), come abiteremo il pianeta nel prossimo futuro? Cosa guiderà le nostre azioni, come individui e società?

Il petalo e l’elefante, foto Ap

Scartando la violenza (per ovvi motivi) e la razionalità (visto che gran parte di noi non ha accesso ad una formazione scientifica e anche solo immaginare che forma abbiano e cosa implichino miliardi di variabili interdipendenti ci mette in difficoltà estrema), la storia ci dà due risposte su come affrontare questo tipo di inconoscibilità: la fede e il sentire.

La fede – che può essere tanto in una religione quanto nella scienza – non è una strada per tutti: servono vocazione, senso del mistero, pazienza, dedizione, disciplina, e tante altre caratteristiche che non tutti hanno o desiderano avere. La fede, inoltre, implica una serie di effetti collaterali, fra cui: forme du fiducia incondizionata che possono generare mostri, una paura che può arrivare al terrore e quasi sempre sensi di colpa. Anche questo lo sappiamo dalla storia.

Ci resta la strada del “sentire”: la “sensibilità”. Possiamo diventare più sensibili. Imparare a togliere la mano dal fuoco prima di bruciarci.

Come si diventa sensibili alle centinaia di miliardi di variabili interdipendenti che ci servono per comprendere i fenomeni complessi del pianeta?

Al livello iperlocale del nostro corpo lo facciamo tutti i giorni, senza pensarci. I nostri sensi sono continuamente sensibili a centinaia di miliardi di variabili interdipendenti vicino a noi tramite i suoni, la visione, il tatto, l’olfatto, il gusto, la propriocezione, la fame e tutte le altre dozzine di sensi, interni ed esterni, di cui siamo dotati per sopravvivere. Ma quando parliamo di fenomeni globali, in cui le variabili sono diffuse su tutto il pianeta, nell’atmosfera e nel cosmo, le cose non sono così lisce e rodate.

Ci serve aiuto.

Abbiamo bisogno di nuove sensibilità per leggere il mondo e per ottenerle potremmo iniziare a dotarci di nuovi alleati, da trovare negli ambienti urbani, rurali, tecnologici e istituzionali.

Tutti questi potenziali alleati, per ciò che sappiamo, hanno almeno una cosa in comune: possono generare dati. Dati che non sono più quelli di una volta. Dati che possono essere forme, emozioni, tendenze, campi di forze, livelli di stress e i tanti tanti altri modi in cui possiamo lasciare esprimere gli ecosistemi e i loro abitanti, umani e non umani.

Portogalli a Porto Rico, foto Ap

Potremmo, quindi, immaginare di allearci con qualche forma di agente computazionale per diventare sensibili ai dati generati da piante, foreste, oceani, città, ad esempio trasformandoli in suoni, immagini, tattilità e altre espressioni sensoriali adatte a noi.

Potremmo, finalmente, togliere la mano dal fuoco (cioè: acquisire una sensibilità al fenomeno complesso che abbiamo davanti, e così reagire). Anche questa sfrenata ricerca della sensibilità è problematica. La procedura “Ludovico Van” di Arancia Meccanica è proprio questo: sentire in modo nuovo per non fare più del Male. E anche dotare ogni albero o animale del pianeta di un qualche microchip o sensore collegati in rete non è qualcosa di desiderabile. E così via.

Le visioni distopiche hanno molte alternative: Hollywood & Co. esplorano solo la parte dell’immaginario orientata al profitto e a far maggior presa sulle emozioni forti dei pubblici. Che è ben lontano dal rappresentare l’intero scenario dell’immaginabile e dell’attuabile.

Innanzitutto, si possono adottare approcci generativi, e non estrattivi: dati e computazione possono essere un’opportunità di libera espressione, concepiti come spazi per l’autobiografia e come autorappresentazione. Già da solo questo elemento cambia completamente le carte in tavola: i linguaggi, i diritti e le libertà di riferimento, i soggetti in gioco e le direzioni. Siamo noi che ci possiamo autorappresentare, non una qualche azienda che ci usa come se fossimo un giacimento di dati. Prodotti, servizi e metodi di indagine dovrebbero necessariamente prendere nuove forme, in cui tutti noi potremmo godere di più ampie libertà.

In questo passaggio avviene uno spostamento fondamentale. Dall’utilità (per esempio: superare la pandemia), si arriva al godimento che deriva dalla maggior capacità di espressione e di relazione. Potremmo godere dell’esprimerci nei nostri termini e del contribuire alla salute planetaria.

Questo possibile cambio di direzione dall’utor (l’utilizzatore di dati) al fruor (il fruitore dei dati, ovvero chi ne può beneficiare godendo) non si attua immaginando prodotti e servizi, ma nuove sensibilità e sensualità. E nuovi rituali attorno a cui riunirsi per autorappresentarci e decidere cosa fare. La politica e l’amministrazione dedicate ai fruitori potrebbero e dovrebbero mutare completamente.

Il carnevale Bloco de Lama in Brasile, foto Ap

A cascata, i processi da moralistici tenderebbero a diventare etici; i fenomeni a cui essere sensibili riceverebbero descrizioni pregnanti; dalla logica della sofferenza si passerebbe a quella del piacere e del senso; più che tentare di esercitare potere dall’alto verso il basso, il potere diverrebbe un fenomeno emergente, diffuso nell’ambiente e volto a comporre come puzzle ecosistemici i contributi al benessere degli abitanti; più che usare logiche “identitarie” (nel senso di “originarie”), si inizierebbero ad adottare logiche “generative/compositive” (nel senso di condividere direzioni e metodi per affrontare di volta in volta le questioni emergenti).

In un mondo che cambia, anche desideri, aspettative, diritti e libertà cambiano. Per questo dovremmo iniziare a chiederci seriamente quanto abbia senso trovarci (solo) in una posizione difensiva dei diritti e delle libertà del mondo che abbiamo ereditato. E chiederci come co-evolvere insieme alle tecnologie (che ci cambiano, rendendoci donne e uomini differenti nella sostanza e nella capacità di sentire) e rifondare diritti e libertà che desideriamo.

Bosco Verticale, Milano, foto Ap

In Italia viviamo ormai da troppo tempo in una condizione di democrazia governativa, esecutiva. Il meccanismo di legiferazione, discussione, creazione e modifica delle leggi al cuore del parlamento è saltato, si va avanti a suon di decreti governativi e di referendum. Non si vede la fine di questa transizione, anche perché dopo la pandemia ci saranno le altre emergenze globali da affrontare. Senza la capacità di legiferare dei nostri parlamenti, attivare questa dinamica evolutiva in una direzione accettabile e dignitosa sarà difficilissimo. Per adesso, solo i grandi operatori tecnologici sembrano in grado di farlo, portando avanti logiche e discorsi assoggettati ai propri interessi e imponendoli ai governi e alla società tramite il mercato.

Che possiamo fare in questa situazione? Ciò che può aiutarci è la strada della sensibilità. In questo senso, il limite più grande delle misure attualmente introdotte dai governi è l’incapacità di cogliere la pandemia (e i dati) come nuova condizione esistenziale dell’essere umano, necessaria per la sua sopravvivenza e comprensione del mondo.

Un parco pubblico a Francoforte, foto Ap

Il servizio e l’amministrazione sono necessari, ma non sono gli strumenti adatti per attivare questa trasformazione della sensibilità. Le dimensioni del senso, la necessità di riposizionarsi, di reinventare il nostro stile di vita e la posizione che l’essere umano occupa nell’ecosistema, non sono parte dell’equazione. L’idea che per introdurre misure come i vaccini, il green pass o il comunicare e fare esperienza dei dati di un contagio globale ci sia bisogno di artisti, poeti, filosofi – e non solo tecnici ed epidemiologi – non è romantica: è strategica. Ed è l’unica strada che ancora non si è percorsa nel moltiplicarsi vertiginoso di esperti, task force, decreti.

In questo inizio di terzo millennio, politica e amministrazione hanno bisogno dell’arte. Non come decorazione, ma per generare senso. La sensibilità – e lo stato di possibilità evolutiva che questa condizione può generare – è la chiave per conoscere, adattarci e ricostruire il patto sociale fra gli attori degli ecosistemi globali e iperconnessi, i nostri diritti, le libertà vecchie e nuove di cui possiamo godere e la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta.

Salvatore Iaconesi e Oriana Persico hanno fondato HER SHE Loves Data/Nuovo Abitare. Insieme a noi stanno lavorando a MeMa, la nuova Intelligenza Artificiale del manifesto, che sarà presentata in autunno nell’ambito del cinquantenario del giornale