Ce lo insegna J. M. Keynes: per uscire dalla trappola della liquidità occorre creare nuova domanda. Ma l’Unione Europea e l’euro alimentano austerità e deflazione: dunque occorre che lo stato italiano crei un nuovo tipo di moneta nazionale.

Il governo di Matteo Renzi cerca, a parole, di rilanciare l’economia dando l’illusione che la nuova finanziaria sia espansiva: in realtà però Renzi segue i diktat della Commissione Ue. Quindi taglia il welfare, riduce i costi del lavoro, aumenta le tasse. La crisi dell’euro potrebbe anche precipitare nella depressione o nel caos. Il problema è che le risorse produttive (lavoro e capitale) sono fortemente sottoutilizzate perché manca la domanda. I redditi scendono, la disoccupazione sale, molte aziende chiudono e le banche non fanno più credito. Ma lo stato non può fare investimenti perché aumenterebbe il debito pubblico. La Bce cerca in molti modi di dare ossigeno alla moribonda economia europea per salvare l’euro (e sé stessa). Le banche però non investono nell’economia reale ma nei più remunerativi titoli finanziari. L’economia quindi non riparte. Occorre allora che lo stato italiano prenda autonomamente l’iniziativa di creare nuova domanda e nuova moneta bypassando le banche. E’ necessario riprendere almeno un po’ di sovranità monetaria, anche per creare le condizioni di un nuovo controllo democratico sull’economia.

Per uscire dalla trappola della liquidità, Biagio Bossone, Luciano Gallino, Marco Cattaneo, e gli autori di questo articolo hanno lanciato un appello “Risolviamo la crisi dell’Italia: adesso! Uscire dalla depressione con l’emissione di moneta statale a circolazione interna”. L’appello, pubblicato sul sito dell’Associazione Paolo Sylos Labini, propone che lo stato italiano emetta direttamente e gratuitamente a favore dei lavoratori (occupati, disoccupati e pensionati) e delle imprese dei Certificati di Credito Fiscale (Ccf) ad uso differito che lo Stato si impegna ad accettare dopo due anni dalla loro emissione per il pagamento di tasse, contributi, tariffe, multe alla pubblica amministrazione.

Più precisamente, la nostra idea è quella di assegnare gratuitamente circa 70 miliardi di Ccf ai lavoratori e altri 50 miliardi per finanziare un New Deal di opere pubbliche per la cura dell’ambiente, per l’occupazione giovanile e femminile, per forme di reddito garantito, per l’energia verde. Altri 80 miliardi dovrebbero essere distribuiti alle aziende per abbattere del 18% il costo del lavoro e recuperare il gap competitivo con la Germania, in modo da mantenere l’equilibrio della bilancia commerciale, aumentare gli investimenti e rilanciare l’occupazione.

Lo Stato creerebbe fino a 200 miliardi di Ccf in tre anni e cioè una “quasi moneta” nazionale parallela all’euro. In tal modo aumenterebbe la domanda senza chiedere soldi sul mercato (espansione del debito). Solo l’emissione massiccia di una nuova moneta fiscale potrebbe rilanciare l’economia italiana che dall’inizio della crisi ha perso 11 punti di Pil e ha visto cadere la produzione industriale del 25%. Un disastro di proporzioni inaudite che a causa della folle politica europea rischia di prolungarsi all’infinito.

Questo piano contrasta l’austerità deflattiva ma resta dentro l’euro. Riteniamo infatti che un’uscita unilaterale dall’euro, propugnata da economisti come Alberto Bagnai e da forze politiche come la Lega di Salvini e anche il M5S di Grillo, avrebbe esiti molto pericolosi. La rottura sarebbe problematica: centinaia di miliardi di euro sono infatti detenuti come valuta di riserva da tutti i paesi del mondo, come Cina, Russia, India. L’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro sarebbe contrastata da tutti e provocherebbe traumi geopolitici imprevedibili; inoltre molti cittadini italiani sono contrari all’uscita per il timore di vedere svalutati i loro risparmi.

Le nostre proposte dunque intendono presentare un’alternativa praticabile per risollevare l’economia italiana e sono compatibili con i vincoli (iniqui e stupidi) del sistema dell’euro, perché la Bce ha il monopolio sull’emissione di moneta corrente ma non sulla creazione di titoli di stato, come sono i Ccf che proponiamo. Inoltre gli stati europei sono sovrani in campo fiscale e hanno il diritto di fare sconti fiscali. E i Ccf non costituiscono debito. Quindi l’emissione di Ccf non infrange i trattati europei anche se siamo coscienti che le resistenze politiche potrebbero essere fortissime. Dentro (purtroppo!) l’euro, ma oltre l’euro.

Ma come funzionerebbe la nuova moneta? I Ccf sarebbero immediatamente scambiati sul mercato finanziario come qualunque altro titolo statale. Si creerebbe un mercato in cui, in cambio di euro, i lavoratori e le aziende in crisi di liquidità cederebbero (a sconto) i Ccf alle aziende e ai privati che hanno bisogno di crediti fiscali e che hanno la liquidità per acquistarli. La nuova moneta aumenterebbe subito la capacità di spesa complessiva ma non genererebbe debito pubblico. Infatti il calo delle entrate pubbliche che si verificherebbe alla scadenza dei Ccf, grazie al moltiplicatore fiscale verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del Pil generato dall’aumento della domanda dovuto all’utilizzo dei Ccf. Oggi infatti le risorse produttive (capitale e lavoro) sono fortemente sottoutilizzate ed esistono quindi ampi margini di recupero del Pil. Con la crescita del Pil, il deficit e il debito pubblico diventerebbero sostenibili. E soprattutto aumenterebbe l’occupazione: e questo segnerebbe davvero l’uscita dalla crisi.