Il 16 giugno scorso è morto Giovanni Feo, un ricercatore, un amico. Giovanni nacque De Feo nel 1949 a Roma, da madre un po’ greca e padre pugliese. Risiedeva da più di 40 anni a Pitigliano, dove lo avevano portato la sua passione per gli etruschi e la loro cultura. Da lì ha esplorato incessantemente il territorio, mostrando una non comune connessione con esso, che gli ha permesso di scoprire o riscoprire luoghi e manufatti ancestrali, trovando spiegazioni all’uso di questi luoghi, spesso non condivise dall’archeologia accademica. Ha sempre condiviso la sua conoscenza con seminari, conferenze, escursioni e ha lasciato una grande quantità di guide e libri sulle sue scoperte, la più nota delle quali è situata a Poggio Rota, a circa 9 km da Pitigliano, una sorta di piccola Stonehenge formata da megaliti tufacei di epoca precedente agli etruschi, un osservatorio astronomico che presenta allineamenti tali da situare la sua fondazione tra il 2.700 e il 2.300 a.C. È l’unico monumento del genere esistente in Italia. Ce n’è un altro in Valle d’Aosta (il Cromlech del Piccolo San Bernardo) che però è completamente crollato.
Bolsena viene ampiamente trattata in molti dei libri di Giovanni Feo, che ne sottolinea l’importanza da più punti di vista, come ad esempio notare che i templi etruschi, posti sulla sponda nord del lago, in buona parte diventati chiese cristiane, sono tutti sul percorso o in prossimità della via Francigena, che deviando da un percorso sicuramente più lineare entra nel sacro cratere di Bolsena a San Lorenzo, confermando che i pellegrinaggi cristiani ricalcano itinerari sacri di età più antica.
In La dea di Bolsena (Effigi ed., 2014) scrive delle aiuole scoperte dall’archeosub Alessandro Fioravanti, quattro tumuli di grandi pietre a secco, di forma tronco conica di grandi dimensioni, erette su faglie vulcaniche da cui fuoriuscivano e fuoriescono vapori e esalazioni, testimonianza di un antico rituale di fondazione che sacralizzava un’area naturale da cui si originava l’intera organizzazione territoriale. Sommerse poi dalle acque del lago in seguito ad un evento tellurico nel IX sec a. C., furono dimenticate.
Tutte le sue scoperte o riscoperte sono tasselli dello studio di quella scienza della natura che è la Geografia Sacra. Campo di ricerca in cui Giovanni Feo ha impegnato la sua vita, rivelando quel rispetto e quella venerazione che gli antichi avevano dell’ordine cosmico e sacro che riconoscevano nella natura e nei suoi elementi. Le antiche civiltà perseguivano lo stesso ordine nell’occupare estensivamente e «urbanizzare» il territorio. L’ordine cosmico riflesso nei manufatti aveva sia valore simbolico spirituale sia pratico. In un tempo in cui non esistevano navigatori, smartphone, segnaletica e luci parassite, l’osservazione del cielo era assolutamente necessaria per spostarsi, e per ritornare. Questa sapienza millenarie si ritrovano con caratteristiche comuni in tutto il mondo, non solo nel bacino del Mediterraneo. La Geografia Sacra fu una scienza sorprendentemente avanzata, erroneamente ritenuta arretrata, ricca di conoscenze raffinate nei più vasti campi del sapere: astronomia, agrimensura, architettura, geometria, fisica, idraulica, simbolismo e spiritualità.
Quasi isolato in Italia, Feo per lungo tempo ha sostenuto che gli antichi abitanti di questi luoghi non erano autoctoni ma venivano da oriente, tesi recentemente confermata da uno studio genetico dell’università di Barcellona. Gli etruschi e i rinaldoniani che li precedettero, venivano entrambi da oriente, erano evoluti metallurgi, come testimoniano i diffusi rinvenimenti archeologici, e avevano ritrovato attorno all’antico vulcano, ritenuto sacro, ormai divenuto lago di Bolsena, quella similitudine con le loro terre che indicava ricchezza di acqua, metalli e minerali, che significava innanzitutto fertilità del terreno ma anche sviluppo tecnologico (che l’uso del metallo porta con se). Vulcani ed acque, entrambi ritenuti manifestazioni sacre della natura, venivano venerati e rispettati per il potere di vita e di morte che manifestavano. Gestire le forze telluriche, gestire e regimentare le acque, era fondamentale in un territorio ricco e fertile, ma fragilissimo. Lo studio della geografia sacra necessita di un approccio multidisciplinare, che non si limita solo allo studio territoriale, in senso propriamente detto, ma necessariamente spazia dall’antropologia alla storia, al folclore, all’archeologia, all’astronomia e archeoastronomia, al simbolismo, alla religione, alla spiritualità.
Attento studioso della lingua italiana e delle lingue antiche, Giovanni Feo stupiva per la facilità con cui rivelava l’etimologia dei nomi e delle parole e per le sue illuminanti letture del sottotesto, nella fedeltà del «nomina sunt consequentia rerum» di dantesca memoria. Collaborava con più associazioni culturali attive nella conoscenza del territorio come Ilva e Tages, che aveva contribuito a fondare. I quaderni di Tages, preziosi punti di riferimento in diversi campi, smessa la veste cartacea continuano per ora on line.
Studioso della tradizione andina, è stato anche tra i soci fondatori, con Roberto Sarti, dell’associazione Tawantin. Verso la fine degli anni ’90 l’incontro con Don Juan Nuñez del Prado, docente di antropologia all’università di Cuzco, da cui ricevette l’iniziazione al quarto livello della tradizione inca. Le connessioni e le similitudini singolari che riscontrano tra la civiltà etrusca e quella delle Ande peruviane, daranno luogo a seminari itineranti volti all’evoluzione delle coscienze attraverso la riscoperta delle radici storico culturali delle nostre tradizioni.
Aveva una personalità non comune, una visione e un approccio al di fuori dei consueti paradigmi. Questo suo essere fuori dall’ordinario gli permetteva di «sentire» il territorio e leggerlo con una acutezza rara, riconoscendo segni di mani antiche, riscoprendo manufatti quasi mai immediatamente visibili ai più. Ruvido e imperscrutabile, fedele a se stesso, non era geloso delle sue conoscenze e delle sue scoperte, che condivideva con naturalezza e generosità. Sicuramente ci mancherà la sua visione fuori dal coro e il suo essere talmente antico da essere modernissimo, suo malgrado.