Roma sta offrendo ai suoi spettatori, non solo teatrali, una inaugurazione di stagione assai curiosa. Mentre i festival assolvono alla loro funzione di vetrina (più o meno di pregio, ma comunque ricca di offerte), sono proprio le macchine di gestione a rivelare movimenti sorprendenti, e forse anche sconcertanti. Il punto più clamoroso è quello raggiunto dal Teatro di Roma, ente pubblico e comune per eccellenza. A pochi mesi dal rinnovato incarico di direzione, Antonio Calbi ha deciso di accettare il ruolo di sovrintendente all’istituto del dramma antico a Siracusa. Un incarico certo prestigioso, arrivato a sorpresa nelle scorse settimane con un decreto del neoministro Bonisoli.

Calbi aveva presentato per Roma a inizio anno un progetto triennale al ministero, ma certo, facendosene una ragione, la sua decisione può essere una notevole chance per il rilancio di Argentina e India (e del Valle, che intanto è puro contenitore di una bella mostra dedicata a Paolo Poli).

L’identità artistica dello stabile romano non era ultimamente particolarmente forte: nei suoi calendari si affollano (quasi si intasano, con teniture anche di due o tre giorni, destinate di fatto alla clandestinità) di generi, linguaggi e generazioni artistiche diversissimi. Non c’è stata in questi anni una scelta di linea culturale, quanto l’assecondare un sedicente «mercato» che rischia oggi di apparire motivato più da «favori» che non da uno straccio di linea o di gusto. Ora il cda dell’ente, e il suo referente politico il vicesindaco Bergamo, hanno una grande occasione, archiviando una gestione che non è stata trionfale, assieme alle collaborazioni e agli interessi che attorno a quella direzione si erano addensate. Roma merita un teatro pubblico di grande respiro, che garantisca il più alto livello della tradizione culturale, in maniera non polverosa, e assieme la possibilità della ricerca e dell’innovazione più avanzata.

È piuttosto curioso che il più solido e importante dei teatri parigini, quello «de la Ville», abbia stretto in questi giorni una partnership col Teatro della Toscana, a dispetto di un antico rapporto preferenziale, diplomatico e politico, che da decenni stringeva le due capitali. Chapeau a Firenze.

Nello stesso tempo il teatro privato che fu il più importante a Roma, l’Eliseo, arriva alla stretta giudiziaria sul pasticciaccio di via Nazionale, un «colpo» che ha fruttato a chi lo gestisce, Luca Barbareschi, ben otto milioni di euro. Che ci fossero nomi e comportamenti opachi (da parte anche pd, perché almeno la signora Prestigiacomo ne fu sostenitrice aperta in aula) si sapeva, e il manifesto ne aveva scritto esplicitamente. Ora che la magistratura fa nomi e cognomi, l’inguacchio parental-politico sarebbe il tema di una gustosa pochade, se non fosse per il rispetto davanti alla rabbia e alla fatica di chi quelle cifre non se le può neanche sognare.
È dura da accettare che i grand commis di stato si rivelino soprattutto affaristi, senza neppure essere Mercadet…
Sarebbe il momento di uno slancio, soprattutto da parte degli artisti, e di chi di spettacolo si occupa. Senza la illusione facile che dopo la chiusura, il sipario torna sempre ad aprirsi.