È una donna a subentrare a un’altra donna: il presidente della Repubblica ha scelto Emanuela Navarretta come nuova giudice della Corte costituzionale al posto di Marta Cartabia in scadenza di mandato. La decisione di Mattarella fa sì che nella Consulta la disparità fra i generi non si aggravi ulteriormente, essendo quello maschile sovra-rappresentato con 12 membri su 15. Che sia toccato a una giurista è una buona notizia, ma in qualche modo attesa: avrebbe stupito se il capo dello Stato avesse nominato un uomo. Era nell’aria anche che fosse il turno di una docente di diritto privato per ragioni di equilibri fra discipline, e il nome di Navarretta non ha stupito i beninformati. Centrista e cattolica come Cartabia, meno conservatrice di quest’ultima sulle questioni cosiddette «eticamente sensibili»: la presidente uscente, pur autorevole e stimata anche a sinistra, non ha mai fatto mistero della sua vicinanza a Comunione e liberazione e della sua scarsa propensione alle aperture sui diritti delle coppie di persone dello stesso sesso o il suicidio assistito.

La nuova giudice, cinquantaquattrenne di Campobasso, ha compiuto tutto il suo percorso accademico nell’università di Pisa, da studentessa a direttrice del dipartimento di giurisprudenza. Da un anno era vicepresidente della scuola superiore della magistratura: incarico prestigioso che la collocava in pole position per la funzione che ricoprirà formalmente da lunedì prossimo. Esperta di responsabilità civile, fautrice dell’applicabilità diretta dei principi costituzionali anche in assenza di norme specifiche in materia di risarcibilità del danno non patrimoniale, chi la conosce meglio la considera una studiosa di vaglia con grandi capacità di stringere relazioni trasversali, e la dipinge come una liberale con sensibilità sociale. Prudente, di profilo «tecnico», non si ricordano sue prese di posizione su temi caldi del dibattito politico.

La nomina di Navarretta non dovrebbe spostare quindi più di tanto l’indirizzo complessivo della Corte, ora chiamata all’elezione di un nuovo presidente al posto di Cartabia, in procinto di essere insieme a Mario Draghi la principale «riserva della Repubblica»i. La prassi vorrebbe che la scelta cadesse sul vicepresidente, ma il papabile (Mario Rosario Morelli, provenienza Cassazione) è anch’egli vicino alla scadenza, il prossimo dicembre. La sua elezione non è impossibile, essendoci già state presidenze di soli tre mesi, ma non sembra molto probabile. Seguendo il criterio dell’anzianità potrebbe toccare allora a Giancarlo Coraggio, provenienza Consiglio di stato, oppure al Dottor Sottile Giuliano Amato: se fosse quest’ultimo, sarebbe la prima volta per un ex premier. Ulteriore ipotesi, la continuità nella linea delle presidenti donna: allora il nome con maggiori chance è quello di Daria de Pretis, progressista sì ma non quanto la giuslavorista «anti-jobs act» Silvana Sciarra, la più a sinistra della Consulta.

Quando uscirà di scena l’attuale vicepresidente Morelli spetterà ai magistrati della Cassazione eleggere il sostituto, e gli ermellini avranno l’occasione di rompere un vergognoso tabù: mai sino ad ora dal Palazzaccio hanno mandato una donna alla Consulta, nonostante la presenza femminile sia ormai maggioritaria fra le toghe italiane. Sempre solo uomini anche i giudici nominati dalla Corte dei conti e dal Consiglio di stato. Non ha fatto granché di meglio nemmeno il parlamento: in 65 anni di vita del massimo organo di garanzia costituzionale, la prima e unica donna eletta da deputati e senatori è stata la professoressa Sciarra nel novembre 2014, grazie a un’intesa fra Pd, l’allora Sel e i Cinque stelle. La scadenza del suo mandato è prevista nel ’23, quindi nella prossima legislatura: salvo sorprese, il parlamento in carica non dovrà eleggere nessuno. Stesso dicasi per Mattarella: dopo quella di ieri, la prossima scadenza di un giudice di nomina presidenziale è nel settembre ’22, oltre la fine del settennato dell’attuale inquilino del Quirinale. Salvo, ovviamente, rielezione (allo stato, inverosimile) sul modello del predecessore Giorgio Napolitano.