Una notizia crudele, che spezza il respiro. Francesca Pilla è morta. Arriva nella forma più banale, un sms. Poi il tam, tam, inseguendo quella rete di amicizie, condivisioni che funzionano sempre. Francesca Pilla era stata, era il nostro sismografo in una città che amava molto.

Diceva sempre che a Napoli accadevano tante, importantissime cose. Capirle, raccontarle avrebbe aiutato tutti coloro che erano interessate a cambiare non un paese, ma il mondo. E con questo spirito che propose anni fa di avviare un’esperienza ambiziosa e temeraria: un inserto veicolato dal manifesto dedicato alla sua città. Fece leva su amicizie solide, militanti. Riunì un gruppo eterogeneo, appassionato, desideroso di fare un buon lavoro.

Riuscirono a farlo. Metrovie seminò molto. Da quell’esperienza sono usciti giornalisti, militanti, che puoi incontrare sempre quando la “parte del torto” prende parola. Ha continuato a scrivere da Napoli per molti anni. Poi la notizia. “Per un po’ di tempo non potrò scrivere. Sto male, è una cosa seria, ma non vi preoccupate ce la farò”. Ha affrontato la malattia con la determinazione di chi vuol uscirne fuori. Sono stati tempi a corrente alternata.

Va bene, penso di passare a Roma, è tanto che non vengo. Diceva in stringate mail. Poi un altro messaggio: “non ce la faccio, non sto bene”. E’ andata avanti così, tra speranza e il nero dell’incertezza. Alla domanda di come cresceva Alessandra, rispondeva con aneddoti. La potevi quasi sentire ridere, perché a un certo punto ha detto che preferiva non parlare al telefono. Poi le foto che la ritraevano sorridente, splendente, ma erano foto che non appartenevano al suo presente, fatto di dolore, speranza, rabbia per il il non futuro che l’attendeva, lei che la vita amava con passione. Ieri la notizia che spezza il respiro.

I funerali si terranno a Napoli lunedì 23 maggio nella chiesa dei Salesiani a via Scarlatti, Vomero, alle ore 12.

Il collettivo del manifesto

Quello che segue è il ricordo di chi ha compiuto con Francesca un percorso lungo una vita.

Bella ciao

La redazione del manifesto a Napoli abitava un garage nell’androne di un palazzo di Piazza Bellini. L’aveva naturalmente trovato Francesca, con la sua usuale caparbietà.

Sempre a dire ‘che ci vuole’ a chi le rappresentava i mille problemi di aprire una redazione cittadina di un giornale che è sempre stata una coriacea scommessa.

Diventò il posto di tutti, si entrava e si usciva, si facevano lunghe riunioni di redazione, quando, sempre con caparbietà, riuscì anche ad allegare al giornale un foglio che si occupasse di Napoli, Metrovie. Francesca assomigliava molto alla sua città, ne conosceva gli umori, gli imprevisti. A Napoli, ci dicevamo, non si potrebbe mai parlare di razzismo, qui è solida la concezione che l’unica differenza tra gli uomini è tra chi ha e chi non ha. La sera si andava a mangiare nelle trattorie vicine, pochi soldi per un primo e un secondo.

La conoscevano tutti, perché riusciva a creare tracce profonde nel reale, come se le fosse estraneo il concetto che i progetti possono anche naufragare.

Tesseva entusiasmi che non sempre condividevamo, avevamo spesso opinioni discordanti sulla politica della città. Ha molto creduto nella prima candidatura dell’attuale sindaco, ci credeva anche questa seconda volta.

Era naturale con lei mettersi dalla parte di chi dice ‘come fai a non vedere i problemi, come fai a non vedere le incongruenze’ anche se lei agiva questa esperienza senza dimenticare le mille cronache fatte da Pomigliano, o le mille manifestazioni a fianco dei migranti, o le mille volte che ha denunciato che il degrado nasce dalla mancanza di opportunità sociali.

Mi ha detto poco tempo fa, ora che di nuovo la lista del sindaco è appoggiata da esponenti del movimento, ora che si sta facendo solido il percorso di un”comune” che nasce e vive di moltitudini proprio a Napoli, dove in questi giorni sembrava di sentirsi vicini alla Barcellona di Ada Colau, ‘avevo ragione, no?’ sorridendo per il colpo che assestava.

A ricordarsi le mille volte che ho incrociato questa sua attitudine, dilaga l’amarezza di una vita che invece le ha fatto conoscere gli ostacoli più duri. Fino all’epilogo di questa malattia che ci ha portato via un pò alla volta il suo sorriso, la sua curiosità, la convinzione di riuscire a scansare la morte anche questa volta.

Ci resta Alessandra, sua figlia, le cui prime parole pronunciate sono state “bella ciao, bella ciao ciao”.

Giovanna Ferrara